Sostenere che gli insegnanti sono tutti uguali e meritevoli è un’evidente ipocrisia.
Non si può e non si deve, per il bene che vogliamo alla scuola pubblica, nascondere una realtà evidente e che sta sotto gli occhi di tutti.
L’esperienza quotidiana ci dice che all’interno delle nostre scuole ci sono alcuni insegnanti che lavorano tanto e bene, mentre altri si impegnano poco e creano anche problemi di servizio alla scuola, eppure sono stipendiati allo stesso modo, con la differenza salariale stabilita in base al criterio dell’anzianità di servizio.
Ma chi sono questi insegnanti scarsamente meritevoli? Si tratta di docenti che non posseggono l’etica della responsabilità e che non avrebbero mai dovuto varcare, se non da studenti, il portone d’entrata di una scuola.
Sono insegnanti che magari hanno vinto anche un concorso ordinario, chissà come, ma non sanno insegnare e a volte non riescono a tenere nemmeno il controllo del gruppo classe, generando confusione e disservizio.
Questi insegnanti si assentano spesso, basta la minima emicrania per prendere la settimana di malattia, e quando sono presenti vengono aspramente criticati da alunni e famiglie. Questo tipo di proteste assillano i dirigenti scolastici, che essendo considerati i responsabili dell’assegnazione dei docenti alle classi, subiscono pressioni affinché quell’insegnante non sia più docente nella classe dei propri figli.
La domanda che ci poniamo è: “Come hanno fatto certe persone a diventare insegnanti?”
Il problema è da individuarsi certamente in un sistema di reclutamento profondamente sbagliato a 360 gradi. Non bisogna cadere nell’errore di considerare la causa della diversità professionale degli insegnanti, dovuta alle varie forme concorsuali di accesso al ruolo. Infatti c’è chi pensa ai concorsi a cattedra ordinari come un accesso al ruolo di eccellenza, mentre invece stigmatizza i percorsi abilitanti o i concorsi riservati definendole delle vere e proprie sanatorie, che hanno aperto l’accesso al ruolo “ope legis” a insegnanti scarsamente meritevoli.
Non è affatto così! In Italia non esistono forme di reclutamento meritocratiche, che riescano a fare salire in cattedra i migliori insegnanti. Infatti ci sono ottimi e pessimi docenti che hanno superato un concorso ordinario, ottimi e pessimi docenti che hanno superato un concorso abilitante riservato, ottimi e pessimi docenti che hanno seguito e superato i corsi di specializzazione all’insegnamento. In buona sostanza la bravura e il successo di un insegnante è totalmente indipendente dalla forma di reclutamento con cui ha avuto accesso all’insegnamento.
È un dato di fatto che il reclutamento degli inseganti è totalmente inefficace, tanto che lo stesso ministro Giannini ha dichiarato: “I concorsi, così come sono stati fatti, hanno creato più problemi che soluzioni”.
Allora, come cambiare il modello per diventare insegnanti? Ecco arrivare una nuova forma di reclutamento che è fortemente sponsorizzata dall’attuale ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Infatti il responsabile del Miur pensa di semplificare l’attuale forma di reclutamento, basata sui fallimentari concorsoni, lasciando all’autonomia scolastica e al dirigente scolastico di una scuola la possibilità di reclutare insegnanti in base alle reali esigenze della scuola, facendo colloqui mirati, test psicoattitudinali specifici ed esaminando i curricula degli aspiranti insegnanti. Con la stessa autonomia con cui al dirigente scolastico sarà concesso reclutare, sarà anche affidato il giudizio di merito per la valutazione dell’insegnante, da cui dipenderanno gli aumenti stipendiali. Adesso una domanda sorge spontanea? Siamo certi che i concorsi per dirigente scolastico abbiano assegnato alle dirigenze delle nostre scuole i DS più meritevoli, e che questi abbiano un’etica della responsabilità così alta e pura da non cedere all’umana tentazione di favorire gli amici più fedeli? Forse sarebbe opportuno rivalutare il ruolo istituzionale dei comitati di valutazione, conferendogli l’onere di valutare tutto il personale scolastico.
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