C’era una volta a scuola il “banco degli asini”. Nei miei ricordi di scolaretto romano degli anni 1947-1952, era un vecchio banco di legno a due posti, con il sedile fisso e dipinto di grigio come gli altri, ma isolato in fondo all’aula.
Iniziava così un articolo scritto alcuni mesi fa dal nostro Nicola Bruni. Poi continuava così. In quel banco della vergogna la “Signora Maestra” usava deportare temporaneamente, all’occorrenza, chi da una prova di verifica risultasse “il più somaro della classe”: di solito, un piccolo monello che “non aveva voglia di studiare”, che si ostinava a non imparare le tabelline, a non azzeccare i congiuntivi, a scrivere “squola” con la q, a “dimenticare” i quaderni a casa, e per giunta a disturbare le lezioni.
Il mondo è cambiato. La scuola anche. E pure i metodi formativi. Quello che non dopoguerra poteva essere la norma – il “banco degli asini” – oggi, settant’anni dopo, viene considerato punitivo e retrogrado.
Tanto è vero che il docente che lo adotta, dando anche del “somaro” all’allievo più indietro, rischia la reclusione per abuso di mezzi di correzione.
È accaduto ad un’insegnante di una scuola secondaria di primo grado in provincia di Oristano che, secondo l’accusa, divideva la classe in alunni bravi e alunni somari – definendoli anche tali – e aveva pure costretto una studentessa a stare in classe con il banco rivolto verso la parete, invece che verso la cattedra come quello di tutti i suoi compagni di classe.
I fatti risalgono all’inverno del 2017: come riportato dalla Tecnica della Scuola, le indagini presero il via dopo che la madre della bambina costretta a stare faccia al muro, venuta a conoscenza del trattamento riservato alla figlia, si è presentò in classe – con la lezione in corso – chiedendo spiegazioni all’insegnante.
La donna si pose in maniera molto decisa, a quanto pare, tanto che qualcuno ritenne necessario chiedere l’intervento dei Carabinieri. I quali denunciarono la donna per interruzione di pubblico servizio.
Tuttavia, i militari approfondirono anche le circostanze che aveva indotto la donna a quel comportamento oltre le righe.
Così, dopo aver riportato la calma, avviarono un’indagine e, raccolte le testimonianze, denunciarono anche l’insegnante per abuso di mezzi di correzione.
Nel frattempo, in attesa dell’esito delle indagini, la docente fu trasferita in un altro istituto.
Il 21 giugno, scrive l’Ansa, è giunta la richiesta di condanna a un mese di reclusione, davanti al Tribunale di Oristano, da parte del pubblico ministero Daniela Caddeo.
Gli avvocati difensori dell’insegnante, però, hanno negato in aula che la loro assistita abbia mai usato termini dispregiativi o tenuto simili comportamenti in classe.
Il processo proseguirà l’11 ottobre con le arringhe della parte civile e della difesa. Subito dopo, si avrà la pronuncia della sentenza.
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