L’articolo di fondo del Corriere della Sera del 30 giugno, “Gli abusivi della cattedra”, stigmatizza l’operato della giustizia amministrativa che ha annullato la bocciatura di uno studente liceale con gravi carenze in tre materie. Lo scritto ha avuto numerosi commenti che, tranne in un caso, hanno condiviso la denuncia per l’indebita intromissione.
Quale distanza separa la cultura contemporanea dal mondo accademico e dall’ordinario sentire!
Quale distanza separa lo Stato di diritto dal sentire comune!
Non si osserva un elefante con il microscopio!
Per esplorare il campo in cui nasce il problema e per una sua corretta definizione è essenziale scegliere un adeguato livello d’osservazione.
Il legislatore, per dominare le dinamiche socio-culturali, ha finalizzato il sistema educativo alla promozione e al consolidamento delle capacità dei giovani, capacità che si manifestano sotto forma di competenze, generali e specifiche.
Un traguardo che la scuola unitariamente deve perseguire, armonizzando tutti gli insegnamenti: la conoscenza rappresenta il mezzo, lo strumento per far lievitare le qualità degli strumenti.
La conoscenza non è più il fine ma il mezzo per progettare percorsi didattici.
La levata di scudi contro la sentenza del Tar del Lazio ha un significato clinico: la fissità; non si vuol abbandonare il tradizionale modello di scuola.
La giustizia amministrativa, invece, rappresenta un significativo contributo per l’ammodernamento dell’istituzione scolastica, un’occasione per supervisionarne l’ordinaria gestione. Un indirizzo che il Miur sta percorrendo – in rete: “Avrà successo l’impresa del ministro Giannini?”
“Sono ancora i professori ad avere la responsabilità pedagogica dell’insegnamento nelle nostre scuole?” è la domanda posta inizialmente dall’editoriale del Corriere. Rimando in rete a “All’origine della dispersione scolastica” per saggiare la dimensione della questione posta.
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