Mentre sindacati rappresentativi (e per la verità anche il Ministero dell’Istruzione) cantano vittoria per il raggiunto accordo sulla chiamata dei docenti dagli albi territoriali, iniziano anche le prime proteste.
Le prese di posizione contro l’accordo arrivano da diverse parti, ma soprattutto dai sindacati di base.
Il piccolo sindacato di base USB, per esempio, sostiene che si tratta di un accordo che consente ai “sindacati complici” (Cgil, Cisl, Uil e Snals) di “continuare a proclamarsi difensori dei docenti attraverso il ‘superamento delle criticità’ della legge, e che invece legittima la chiamata diretta e lo strapotere che sarà appannaggio dei dirigenti scolastici”.
“Con questo accordo – sostiene l’Usb – si aprono le porte a una vera e propria corsa alla certificazione (i 500 euro serviranno proprio a questo…), rilasciata dagli enti accreditati controllati dagli stessi sindacati o indicati dal caro dirigente scolastico interessato alla “formazione” dei propri insegnanti/dipendenti, trasformando la carriera del docente in una funambolica accumulazione di titoli e togliendo qualsiasi valore al lavoro che ogni giorno si porta avanti faticosamente nelle classi”.
“Questo accordo – continua l’Usb – non consentirà di superare i rischi del clientelismo, non permetterà di evitare le discriminazioni, non salverà gli insegnanti dalla ricattabilità e dall’abuso di potere, contribuirà solamente a far aumentare servilismo e sottrazione di diritti”.
La polemica è diretta soprattutto nei confronti del sindacato di Mimmo Pantaleo: “Noi come USB manteniamo la nostra coerenza, non giochiamo come la Flc- CGIL sulla pelle dei lavoratori della scuola, ingannandoli con una raccolta firme per un referendum contro la chiamata diretta, per poi nello stesso giorno in cui si depositano i quesiti, firmare l’accordo sulla chiamata diretta consentendo così al sottosegretario Faraone di inneggiare alla svolta epocale”.
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