In questi giorni si susseguono le informazioni, più o meno attendibili, su quello che sarà il destino dei neo-immessi in ruolo soggetti alla chiamata diretta.
Siamo “solamente” al 2 luglio e ancora non sappiamo come verranno chiamati in servizio i docenti. La prima bozza, che seguiva letteralmente le vaghe indicazioni della 107, sembra essere stata scartata definitivamente e la seconda proposta prevede un concorso interno che, stando ai comunicati che leggiamo, accoglie il favore dei sindacati concertativi.
La proposta del concorso interno non è una novità. Nel 2012 riuscimmo a bloccarla in Lombardia, dove l’assessore all’istruzione Valentina Aprea (dei cui disastri non ci siamo dimenticati) tentò di farla passare con il benestare dell’allora ministro Profumo, che la considerava una “utile sperimentazione”. La protesta fu proficua: grazie al coinvolgimento di tutti i docenti che credono nella scuola della trasparenza e dei diritti, la “sperimentazione” fu bloccata.
Oggi non si parla più di sperimentazione, ma della concreta attuazione di una pratica incostituzionale e fuori da ogni logica di trasparenza e chiarezza. Per non parlare delle difficoltà oggettive nell’attuazione, in tempi utili, di un piano di assunzioni, complesso e farraginoso, basato sull’invio da parte dei docenti dei curriculum ad ogni scuola per la quale si vuol concorrere; sulla valutazione da parte del preside, o chi per loro, della conformità delle esperienze lavorative e personali di ciascuno con le necessità espresse nel PTOF; sull’avvio di colloqui – non obbligatori, ma possibili – sulla base dei quali i presidi decideranno…cosa? Chi è più simpatico? Chi è più bravo, come vorrebbero farci credere? O, semplicemente, chi è più ricattabile?
Insomma, il MIUR non torna indietro, procede verso la personalizzazione e la privatizzazione delle istituzioni scolastiche, adottando tecniche che i sindacati firmatari di contratto approvavano con l’Aprea e che oggi, in piena continuità, approvano con Faraone. E’ palese ormai a tutti che il senso di questa riforma renziana è la “rottamazione” della democrazia interna alle scuole, con l’aumento a dismisura della subalternità dei lavoratori.
USB Scuola continuerà ad opporsi fermamente alla chiamata diretta, in qualunque modo essa verrà realizzata, perché lo consideriamo un metodo inevitabilmente familista, nepotista e discriminatorio, a causa del quale un docente potrà essere scartato per motivi politici, religiosi, sessuali, sindacali, di genere, per condizioni personali o sociali; e, inoltre, essendo assunto dal dirigente scolastico, sarà sempre facilmente ricattabile, sia dal punto di vista didattico sia dal punto di vista contrattuale.
La scuola della Costituzione è la scuola degli studenti e dei lavoratori, del diritto all’istruzione e della libertà di insegnamento, in cui trova il giusto spazio ogni idea e ogni peculiarità. L’USB continuerà a lottare per il rispetto di queste garanzie, ricordando sempre che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.