Montanelli innanzitutto nel suo intervento sulle riforme premetteva “che non c’è stato nessun Ministro della Pubblica Istruzione che abbia rinunziato a vararne qualcuna – che su questa povera scuola si sono via via abbattute; “e che, come tutte le altre riforme italiane, sono sempre partite dalla fiducia nelle “regole” come conseguenza della sfiducia negli uomini. L’Italia il Paese più “regolato” del mondo – evidenziava Montanelli – perché il legislatore su qualunque cosa legiferi parte dal presupposto che chi deve applicare la regola – burocrate, poliziotto o magistrato che sia – cercherà di aggirarla per i propri interessi, e quindi bisogna ingabbiarlo in un reticolo di altre regole che gli impediscano di farlo. E questo principio che, applicato alla scuola – secondo il grande giornalista – vi ha provocato e seguita a provocarvi il caos”.
Come non dare ragione al grande Indro, anche oggi dopo che varata la legge 107/2015 sono state tante le regole in contrapposizione ad essa, create, condivise e applicate per quieto vivere, ignorando anche la gerarchia delle fonti del diritto, ovvero che una fonte di rango inferiore non può abrogare seppure provvisoriamente una di rango superiore? Ma veniamo alla proposta del grande giornalista il quale subito nel suo intervento prende le distanze dal principio di mettere regole e regolette per ingabbiare la legge.
“Toccasse a me – scrive Montanelli, io ne seguirei un altro. Siccome la vera e profonda malattia della scuola è la sua incapacità di disfarsi di cattivi insegnanti, ne affiderei la riforma ai Presidi dei vari Istituti coi relativi poteri e responsabilità. Siano essi a scegliere e nominare gl’insegnanti, rimanendo però responsabili della loro condotta e del loro rendimento, da misurarsi a fine anno sulla preparazione degli allievi”. Insomma una proposta che pare avere fatto breccia, con tutta una serie di aggiustamenti, nel governo Renzi circa 15 anni dopo. Non solo ma ancora una volta il grande giornalista si rivelava profetico perché prevedendo ostilità alla sua proposta così concludeva rispondendo al lettore: “ora s’immagini che io, ministro della Pubblica Istruzione, presenti al Parlamento un cosiffatto disegno di legge, tutto basato com’è sulla fiducia negl’insegnanti e soprattutto nei Presidi. Anche se il ministero di cui facessi parte disponesse di una maggioranza sicura e compatta, e quindi non venisse a priori bocciato, s’immagina il diluvio di “emendamenti” che vi si abbatterebbe sopra, ognuno inteso all’introduzione di qualche “regola” intesa a ristabilire quella di sempre, basata sulla sfiducia?”
Non è forse quello che sta accadendo oggi, anche se a mettere regole intese a ristabilire quella di sempre non è il Parlamento ma fatto ben più grave, chi pensa che fatta una legge può in corso d’opera modificarne i contenuti senza capire che ci vorrebbe un’altra legge per poterlo fare. Una concezione del diritto tutta originale e comunque, osservando la legge stessa, neanche impensabile se si pensa che quest’ultima in molti casi fa a pugni con un’altra fonte del diritto che è la più importante di tutti: la nostra Costituzione.
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