“La verità è che la trattativa sulla chiamata diretta si è interrotta perché abbiamo detto no all’inclusione di titoli estemporanei ed esperienze inappropriate”.
A dirlo alla Tecnica della Scuola è Maddalena Gissi, segretario generale Cisl Scuola, alla vigilia della pubblicazione delle linee guida da parte del Miur che definiranno in modo unilaterale il destino di diverse decine di migliaia di docenti collocati negli ambiti territoriali.
Gissi, perché il tavolo è riuscito a sciogliere tanti nodi ma non quello sulla “rosa” dei requisiti da associare ai posti da assegnare?
Vorrei mettere in chiaro che non è si è arrivati alla rottura per un’impuntatura dei sindacati. Eravamo giunti ad una fase delicata per la sequenza contrattuale e volevamo creare davvero le condizioni per tutelare tanti lavoratori. Però, rimaniamo convinti che un docente che ha già un’abilitazione e ha vinto un concorso non debba essere valutato per i ruoli generici assunti e le esperienze frammentarie svolte, ma per il valore aggiunto acquisito ai fini del ruolo da andare a ricoprire. La trattativa si è quindi interrotta per una visione diversa, di fondo, dalla negoziazione.
Ci può fare un esempio pratico?
Certamente. Prendiamo l’inclusione scolastica: a noi stava benissimo considerare parametri come l’aver insegnato in aree a rischio o la specializzazione sul sostegno. Ma cosa c’entra l’aver svolto una generica funzione organizzativa nella scuola o il tutor su questioni non inerenti? Oppure, prendiamo una cattedra nel campo digitale: va sicuramente bene un titolo universitario di informatica, ma non si possono considerare utili dei corsi base Ecdl o, peggio ancora, acquisiti in pochi giorni. Cosa hanno a che fare questi titoli con l’apprendimento? Pensavamo che quanto accaduto con i 500 euro di aggiornamento professionale fosse servito.
Cosa intende?
Mi riferisco al proliferare di titoli dell’ultima ora, spuntati come i funghi, legati in qualche modo a strutture autorizzate. Per non parlare delle indagini in corso della magistratura sulle certificazioni utilizzate anche per la mobilità del personale.
Quando lo avete fatto presente, quale spiegazione vi è stata fornita?
Il Miur li ritiene potenzialmente attinenti. Sarà poi il dirigente scolastico a valutare. Quello che l’amministrazione non ha compreso è che la nostra battaglia è stata condotta anche a favore dei presidi.
In che senso?
Un alto numero di requisiti li avrebbe più esposti al contenzioso. Un basso numero, non più di dieci, come chiedevamo noi, sarebbero stati molto più semplici da gestire. Invece, ora si andrà nel verso contrario.
Quindi, per la seconda volta in pochi giorni, ci si è arenati ancora per i margini di scelta da fornire ai dirigenti?
È così. Evidentemente, c’è chi ha interesse a qualificare i dirigenti scolastici come manager che devono operare in totale libertà nella scuola dell’autonomia.
Però, mi scusi, la Legge 107/2015 ha fornito molte più responsabilità ai presidi?
Mi permetta: chi conosce la scuola, sa bene in che condizioni si lavora. Per vari motivi, i dirigenti scolastici non possono essere ancora pronti ad assolvere questo ruolo di management puro. Anche perché sono continuamente soggetti a delle molestie burocratiche. Certamente, rimane auspicabile che siano messi nelle condizioni per individuare le aree di miglioramento della scuola che dirigono, ma devono essere coerenti. E quella lista infinita di requisiti non lo era.
Ora cosa accadrà? Tra quarantott’ore è prevista la presentazione delle linee guida predisposte dal Miur.
Ci aspettiamo due cose. La prima, è che non si getti alle ortiche tutto quello che avevamo stabilito e concordato. La seconda, è che il Miur ci convochi per un’informativa sulle linee guida: non è una concessione, ma lo prevede la legge.
E dopo?
Saremo vigili. Obiettività e chiarezza nella scelta dei docenti sono requisiti su cui non transigiamo. Con o senza contratto bilaterale, siamo pronti a tutelare nelle sedi opportune il personale docente che dovesse risultare danneggiato.
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