Chiamata diretta, il malcontento del reclutamento

Il mondo scolastico è stato calamitato nelle ultime settimane dal grande argomento scottante di inizio estate: la chiamata diretta.

Malcontento, fiducia, slittamento, insicurezza, accordi ma nessun fondamento. Drin, il telefono squilla: sì pronto; chiamata diretta lei è competente. Probabile, forse, certo, indubbiamente. Curriculum inviato, compilato, attestati, certificati, plurilaureati, raccomandati.
Questo è il punto della questione. La paura quasi ancestrale di dover competere su terreni sconosciuti e fino ad oggi sottaciuti. Per essere “arruolati”.
Pensiamola un attimo da un altro punto di vista: e se noi docenti dovessimo votare un governo in base al curriculum di ciascun candidato, quali nomi avremmo a Roma? Quali competenze dovremmo valutare? Quali ministri da raccomandare? Le graduatorie, vi ricordo colleghi cari, sono state istituite per darci almeno l’effimera illusione che si poteva accedere ad un posto di lavoro senza sotterfugi ma semplicemente seguendo un destino scritto più o meno palese per tutti. Ora io chiedo al governo italiano la ragione per cui se ha abituato i docenti ad  un tipo di meccanismo e di “reclutamento” del quale non si era lamentato nessuno ora lo cambia.

E lo cambia con la consapevolezza del malcontento generale e soprattutto della presa di coscienza delle difficoltà dei dirigenti che sono sicura saranno sommersi dai ricorsi di ogni tipo. Io personalmente, come invisibile, non sentirò la chiamata : il mio numero è offline da questo punto di vista. Ma come docente che crede nell’unione della categoria provo a mettermi in questi scomodi panni e con tutto il disagio che ne deriva chiedo spiegazioni. 

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