L’abolizione della “chiamata diretta” ha avuto l’onore di tutte le prime pagine dei giornali. Intesa, più che nel merito di quella proposta, come emblema o cardine della renziana “buona scuola”.
Mentre, come sappiamo, il vero cardine fu la maxi-sanatoria che ha portato alla assunzione di oltre 100.000 docenti, cioè il 10% di docenti poi messi a disposizione delle scuole (organico potenziato), inizialmente individuati, così sembrava all’inizio, secondo le diverse priorità didattiche, poi, alla resa dei conti, assegnati senza alcun criterio, ma solo per trovare un posto soprattutto ai professori di arte e di diritto che, dalla sera alla mattina, si sono ritrovati catapultati nelle scuole.
Una massiccia assunzione senza alcun filtro qualitativo, purtroppo. Che ha creato non poche difficoltà alle scuole,accanto ad alcune opportunità.
Ma, si sa, anche la scuola, terreno che dovrebbe essere fertile del pensiero critico, non è immune dai miti.
Lo ammetto, sono uno dei pochi presidi che, lo scorso anno, si sono avvalsi della “chiamata diretta”, fatta in modo trasparente, con un colloquio condotto assieme ai capi dipartimento interessati, a porte aperte.
Lo scorso anno pochi presidi se ne avvalsero, in segno di protesta perchè questa operazione era previsto avvenisse in piena estate, senza cioè rispetto del diritto alle ferie, che, come sappiamo, pochi presidi fanno per intero, accumulando anno dopo anno residui regalati allo Stato. Una giusta protesta.
Ma con questa decisione gli stessi presidi hanno avallato l’idea che, alla fine, la stessa chiamata diretta fosse inutile, lasciando al burocratismo delle graduatorie l’assegnazione dei docenti alle scuole. Mentre, si sa, non tutti sono adatti, al di lá dei titoli, ad insegnare in tutte le scuole per cui sono titolati.
Ricordiamo tutti la proposta di Galimberti, di un test psico-attitudinale per tutti.
Perché una cosa è sapere una disciplina, altra saperla insegnare, sapere coinvolgere, essere punti di riferimento, dei veri “maestri” per i nostri ragazzi.
Come una cosa è vincere un concorso a preside, altro essere veri “capi di istituto”, come si diceva un tempo.
Tutti, nelle scuole, sanno ad esempio chi sono i bravi docenti. Il valore reputazionale conta, e come se conta, anche nelle scuole, come in tutta la società.
Lo stesso discorso vale per il bonus docenti, che va giustamente allargato, come ha proposto il ministro, anche a quelli non di ruolo. Per riconoscere e premiare la competenza di fatto.
Insomma, cancellando la “chiamata diretta” si è scelta la via apparentemente indolore dell’automatismo burocratico, invece di valorizzare il valore delle persone dei docenti. Una evidente contraddizione, perché la scuola, come è noto, è il luogo principe nel quale contano le persone, le relazioni, la sensibilità culturale, la disponibilità, proprio perché contesto educativo-culturale. Disponibilità a mettersi in gioco in funzione del “servizio” che deve essere garantito ai ragazzi, alle famiglie, al tessuto sociale.
Un errore populista, dunque? Certo. Fatto, purtroppo, da chi la scuola la conosce bene, perché il ministro ed il sottosegretario, inizialmente favorevoli anche loro, hanno accettato di seguire l’onda del momento. Non un bell’esempio.
Mentre la “chiamata” non andava abolita, ma resa trasparente, in modo da prevenire ed arginare le note critiche di favoritismo degli “amici degli amici”.
Si è così, con l’acqua sporca, buttato via anche il bambino, cioè l’etica della responsabilità personale.
Invece, la stessa “chiamata” andava estesa a tutte le figure professionali, a partire dai presidi, col ruolo attivo dei consigli di istituti, perché rappresentativi di tutte le componenti delle scuole. Quanti presidi, ad esempio, sono in difficoltà, perchè poco autorevoli, nelle loro scuole? Perché non prevedere anche per loro un filtro qualitativo? Per non dire dei dsga, in alcune scuole in conflitto con i propri presidi e le proprie segreterie.
La chiave di volta, per chiudere, è la piena valorizzazione della autonomia responsabile e sussidiaria delle scuole, in diretto collegamento con gli enti locali, come già in alcuni Paesi del nord-Europa.
Non una scuola dello Stato, ma una scuola statale affidata agli enti locali.
Ancora una volta in Italia, in nome del “cambiamento”, si è preferito guardare al futuro con gli occhi rivolti al passato. Tutto già previsto, come aveva insegnato Tomasi di Lampedusa.
Gianni Zen
Dirigente scolastico Liceo Brocchi di Bassano del Grappa
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