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Chiamata diretta: la sconfitta politica di Faraone

Che nell’accordo politico sulla chiamata diretta ci fosse qualcosa di strano era abbastanza evidente.

Soprattutto risultavano un po’ curiosi i comunicati delle due parti in causa (sindacati da un lato e Ministero dall’altro): entrambi hanno sostenuto di aver concluso un ottimo accordo.
Peccato che le motivazioni fossero diametralmente opposte: i sindacati rivendicavano di essere riusciti ad ottenere la cancellazione di una norma particolarmente iniqua della legge 107, mentre il ministro Giannini sosteneva che l’accordo avrebbe consentito di applicare pienamente una disposizione fondamentale della “Buona Scuola”.
Nel pomeriggio del 12 luglio è arrivata la doccia fredda perchè i dirigenti del Miur che avrebbero dovuto tradurre l’accordo politico in una sequenza contrattuale in grado di superare i controlli di MEF e Funzione Pubblica hanno di fatto proposto un testo che non rispecchiava le aspettative dei sindacati.
Evidentemente nel fine settimana (è di giovedì 7 il comunicato Miur con cui si annunciava l’accordo raggiunto) deve essere accaduto qualcosa, anche se non sappiamo con esattezza cosa.
Le ipotesi si sprecano ma la spiegazione più semplice è che i sindacati abbiano sottovalutato la delicatezza della questione e non abbiano considerato che parlare di superamento della legge avrebbe fatto drizzare le orecchie a molti.
Fonti ben informate, per esempio, riferiscono che Confindustria sarebbe stata pronta a sferrare un duro attacco al Governo nel caso di firma dell’accordo (un segnale indiretto viene dal fatto che proprio sul Sole 24 ore di martedì 12 è stata pubblicata una intervista a Licia Cianfriglia, dirigente scolastica ANP, membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione,  nella quale si ricorda che un contratto sindacale non può disapplicare una legge).
Sferzante il commento di Stefano d’Errico, segretario nazionale Unicobas: “Tutto come previsto: i sindacati rappresentativi si stanno incartando e per ora l’unico risultato sicuro sta nel cosiddetto ‘organico dell’autonomia’ che invece di garantire la titolarità perduta la elimina (andando persino oltre la ‘cattiva sQuola’) anche per chi ha 40 anni di servizio nello stesso istituto e non è costretto a fare domanda di trasferimento; con le premesse di questo accordo s’apre per tutti il baratro dell’organico funzionale (a discrezione del preside) esattamente come vuole la Giannini (e senza neppure che sia scritto nella legge)”.
Ma da questa vicenda ad uscirne sconfitto è soprattutto il sottosegretario Davide Faraone, artefice di un accordo politico che ha retto per pochissimi giorni e che sembra per ora essere stato sconfessato dai vertici amministrativi di Viale Trastevere.

Reginaldo Palermo

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