Dopo una estenuante giornata di trattative, finisce male la questione della chiamata diretta: tra Miur e sindacati è arrivata la rottura definitiva.
E stavolta sembrerebbe proprio che non vi siano più i presupposti per tornare indietro. Per cui, la sequenza contrattuale sulla chiamata diretta è giunta di fatto al capolinea.
Qual è stato il motivo principale di questa rottura? Il motivo va ricondotto principalmente al numero e alla tipologia dei requisiti nazionali proposti dal Miur, ma non accettati dai sindacati.
I dirigenti del dicastero di Viale Trastevere ne proponevano circa una quarantina, alcuni di tipologia ripetuta come le competenze linguistiche per la primaria e quelle per la secondaria: dall’altra parte, le organizzazioni dei lavoratori chiedevano un numero ristretto, al massimo di otto requisiti.
Nel corso della trattativa, si è arrivati a ridurre la “rosa” proposta dal Miur sino a 30 (si era partiti da quasi 50!). Solo che i sindacati erano disposti al massimo ad arrivare ad 11.
A quel punto, il discorso si è incentrato sulla tipologia dei requisiti e sulle certificazioni che avrebbero validati i titoli. I sindacati, ad esempio hanno ritenuto inaccettabile requisiti generici, come le esperienze lavorative nei musei; mentre si sarebbero detti d’accordo sul valorizzarne altri più specifici, come l’esperienza di tutor nell’alternanza scuola-lavoro o anche di tutoraggio dei neo-assunti in ruolo.
Tuttavia, le parti continuavano ad essere troppo distanti. Così, l’accordo è saltato. Sembra che i sindacati abbiano lasciato il Miur anche abbastanza contrariati. Adesso non resta che attendere e leggere il loro comunicato unitario.
In tanti si chiedono cosa accadrà ora: che ne sarà, in particolare, delle decine di migliaia di docenti che dovranno essere collocati attraverso la chiamata diretta? Di fondo, c’è la Legge 107/2015, che parla da sola: il Miur realizzerà di fatto, con ogni probabilità, un atto unilaterale, pubblicando solamente delle linee guida.
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