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Chiamata diretta: scuole di serie A e scuole di serie B?

Devo essere sincero. Sono rimasto sorpreso, quando ho letto la notizia relativa al rifiuto di ben 346 presidi sulla chiamata diretta di quest’anno.

Rifiuto legato alla massa di incombenze che hanno gravato e stanno gravando, sempre di più, il ruolo del preside oggi. Altro che preside sceriffo! Protesta culminata nella recente clamorosa manifestazione davanti al Miur. Protesta giusta, sacrosanta.

Ricordo bene i presidi di quando ero giovane docente! Nulla a che vedere con il ruolo e le responsabilità di oggi. Per pochi euro in più.

Nonostante questi riscontri, però, sono rimasto di stucco quando, invece, ho visto che la protesta andava a colpire forse l’unico aspetto positivo della cosiddetta Buona Scuola. Mentre, cioè, la stessa legge ha prodotto la più grande sanatoria che si ricordi, senza, purtroppo, alcun filtro qualitativo, riempendo le scuole di docenti, molti bravi e alcuni di incapaci e incompetenti, dall’altro ha previsto la prima vera e grande rivoluzione nel mondo della scuola, malato e tarato dal vero vulnus, cioè la gestione centralistica del personale, rivoluzione che prevede, appunto, la chiamata diretta, cioè, finalmente, un filtro qualitativo.

Ovvio, non basta scrivere una norma, conta poi la sua applicazione corretta, equa, garantista sul piano della competenza effettiva, e non solo delle individualistiche graduatorie, oggi tutte obsolete.

La chiamata diretta, articolata quest’anno con i sei criteri che i Collegi docenti erano tenuti a deliberare, è, in poche parole, un obbligo prima di una opportunità che, se applicata seriamente, è davvero un passo in avanti. Cosa ovvia, in tutto il mondo del lavoro, un tabù nel nostro mondo ancora vincolato invece a modelli assistenzialistici.

Che fare, in vista delle cattedre del prossimo anno scolastico, per quei docenti che gli studenti ed i genitori non vogliono? Provate per credere.

Un momento, dunque, quello della chiamata, che va preso sul serio, che andrebbe, per prevenire le critiche che ben conosciamo, calibrato in questo modo: sulla base di un CV dinamico, con colloquio obbligatorio, alla presenza del Capo Dipartimento della disciplina coinvolta, a porte aperte. Un atto cioè pubblico, visto il contesto.

Che, l’ho visto, è apprezzato dai docenti. Se fatto seriamente.

Sapendo, comunque, che la libertà di scelta è sì della scuola, ma anche del docente coinvolto, il quale, poi, ha l’ultima parola, perché può optare tra chiamate diverse.

Così le scuole possono accogliere i migliori docenti, e questi possono scegliersi le migliori scuole.

Questo rischia di produrre scuole di serie A e scuole di serie B. Il rischio è reale. Per questo, è fondamentale riscrivere il contratto e ridisegnare gli organi collegiali, oltre agli altri aspetti di prospettive e di contenuto degli indirizzi di studio, finalmente funzionali ai ragazzi di oggi, vista la rivoluzione socio-culturale in atto. Ma ci vorrebbero altri sindacati, e la capacità di realtà dei nostri politici, per questi passaggi ulteriori. Oggi ancora non compresi.

La crescente pressione dei genitori, per avere per i propri figli i migliori presidi e docenti, motivata dal fatto che stanno sempre più comprendendo che la formazione è e sarà sempre più il differenziale a livello sociale e lavorativo, crescerà sempre più. Inevitabilmente. Ne siamo consapevoli che questa pressione è giusta? Che in gioco è la vita dei nostri ragazzi, ed il futuro del nostro sistema Paese? Cosa vuol dire oggi “servizio pubblico”? L’autonomia pensata negli anni novanta non era diretta proprio a questo fine?

Non solo per i docenti, questa chiamata, ma anche per i presidi? Non andrebbe prevista anche per loro, come per i dsga e per tutto il personale? Col ruolo centrale di un rinnovato consiglio di istituto, per la presenza di tutte le componenti della scuola, ma anche degli enti locali. Perché le scuole sono “scuole delle comunità locali”.

 

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La scuola, in altri termini, non è un mero ufficio burocratico, emanazione periferica del centralismo ministeriale, ma, al proprio interno, una comunità, interfaccia della più ampia comunità locale. E la scelta di far parte di una comunità non è un mero contratto individuale, sapendo che la somma individualistica dei componenti di una comunità scolastica non la può rappresentare, ma che, come è noto, il tutto è sempre più della somma delle parti. Il colloquio di lavoro, sempre nella chiamata, per tutti, non dovrebbe garantire, oltre alle capacità e competenze, proprio questo valore aggiunto?

Perché non prevedere, in primo luogo per i presidi, un confronto non tra CV, ma tra idee e progetti per la scuola prescelta, perché il ruolo di dirigente richiede appunto la capacità di essere punto di riferimento a tutto tondo?

Quante scuole, in poche parole, sono in difficoltà per presidi che non sono adeguati? Quanti presidi, al di lá degli aspetti gestionali, sono incapaci di proporre proposte e riflessioni culturali, in relazione alla tipologia di scuola? La dirigenza unica, tra primo e secondo ciclo, non è fallita proprio su questo punto?

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Gianni Zen

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