«Gentile Leandro Janni,
l’esito che segue prospetta quanto elaborato dalle procedure automatiche del Sistema Informativo del Ministero alla data di pubblicazione dei risultati ed è conforme alle informazioni riportate negli elenchi ufficiali pubblicati dagli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali. Tutto ciò premesso, Le comunichiamo che, per l’anno scolastico 2022/2023, non ha ottenuto il movimento richiesto.»
Anche quest’anno, dunque, in freddo burocratese, mi viene comunicato che non ho ottenuto il trasferimento richiesto, auspicato.
Specificatamente, il “passaggio di ruolo” dalla scuola secondaria di I grado alla secondaria di II grado (ovvero dalla scuola media, dove attualmente insegno Arte e immagine, al liceo, dove ho insegnato e potrei insegnare Disegno e storia dell’arte).
Sono anni che presento la domanda, invano. E questo, pur avendo vinto un concorso a cattedra, avendo anni di servizio, titoli, pubblicazioni e quant’altro. Per la mobilità professionale non ci sono spazi, posti disponibili.
I pochi posti a disposizione vengono assegnati, sempre e comunque, ai docenti che presentano domanda di trasferimento per avvicinarsi al luogo di residenza. Anche se tali docenti posseggono meno titoli e meno punteggio. La mobilità professionale viene dunque, di fatto, ignorata. Vituperata. Alla faccia della meritocrazia, alla faccia della volontà e del desiderio di un docente di porre in essere la propria professionalità, competenza ed esperienza in un contesto scolastico diverso.
Queste sono le ingiuste regole che governano la mobilità in ambito scolastico. Ai più, probabilmente stanno bene. Le Organizzazioni sindacali ovviamente concordano, legittimano tutto questo. Ma, qual è il problema? La paura che la meritocrazia generi disuguaglianze? O piuttosto l’incapacità di valorizzare le differenze e di affermare il valore del lavoro come autorealizzazione e non come ineluttabile mezzo per guadagnarsi da vivere? Insomma, la strada maestra verso la mediocrità.
Leandro Janni
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