La Campania ha chiuso le scuole due settimane dopo la riapertura. La scelta sembra aver prodotto pochi vantaggi in termini di diffusione del contagio, mentre è inalterato il sovraccarico degli ospedali. La riprova è data dai numeri del Lazio dove, con le scuole aperte, si è registrata una situazione più o meno analoga.
E’ quanto sostengono Immacolata Marino e Iacopo Grassi rispettivamente ricercatori di economia politica e scienze delle finanze presso l’Università Federico II di Napoli.
La loro tesi è ampiamente argomentata in un articolo pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista on line lavoce.info
“Il 15 ottobre 2020 la Regione Campania ha decretato la chiusura di tutte le scuole per prevenire e limitare la diffusione del Covid-19 sul territorio regionale” esordiscono i due studiosi che aggiungono: “La scelta, dopo solo due settimane di didattica in presenza, ha reso la regione un caso unico in Italia (e in Europa): fino al 13 novembre solo in quel territorio tutte le scuole sono rimaste chiuse, mentre le altre misure erano le meno restrittive possibili. L’anomalia ci permette di investigare, in forma preliminare, gli effetti della chiusura delle scuole sulla diffusione del Covid, confrontando l’andamento di diversi indicatori tra Campania e Lazio. Le due regioni hanno molte caratteristiche simili in termini di esposizione alla pandemia: non hanno subito la prima ondata e non mostrano differenze significative per diffusione dell’epidemia fino alla chiusura delle scuole in Campania”.
“Ma la Campania – sottolineano – è anche la regione nella quale le famiglie incontrano più ostacoli nell’accesso a Internet (il 26,7 per cento delle famiglie non dispone di una connessione) e tra le prime tre per dispersione scolastica”.
“La domanda da porsi – affermano a questo punto i due studioso – è se i “costi certi” del ricorso alla didattica a distanza siano almeno in parte giustificabili dai benefici in termini di andamento della pandemia”.
Dati e numeri alla mano Immacolata Marino e Iacopo Grassi dimostrano che “a tre settimane dall’apertura delle scuole, in Campania la curva dei contagi diventa più ripida (maggiore accelerazione) rispetto a quella del Lazio”.
Sembra dunque che “il ritorno tra i banchi non abbia avuto lo stesso effetto nelle due regioni”.
Non solo, ma “almeno fino a tre settimane successive alla chiusura in Campania, non c’è stata alcuna riduzione del gap con il Lazio in termini di nuovi contagi”.
La conclusione alla quale giungono i due ricercatori è ancora provvisoria ma sembra indicare che la chiusura delle scuole non sia una misura risolutiva: “Non è però chiaro se la diminuzione dell’accelerazione sia stata indotta direttamente dalla sospensione delle attività in presenza, oppure indirettamente dalla diminuzione degli spostamenti legati alla scuola (in questo caso le scuole primarie svolgerebbero un ruolo marginale). Tuttavia, l’esempio del Lazio suggerisce che è possibile contenere l’accelerazione della curva pur continuando la didattica in presenza per tutte le scuole”.
Secondo Marino e Grassi “totalmente ignorati sembrano essere i costi sociali della scelta di rinunciare alla scuola in presenza, così come pare sottovalutata l’evidenza che essi siano infinitamente più alti di quelli della chiusura di altri comparti, che invece la politica ha deciso di salvaguardare”.
Anche in considerazione del fatto che “per la stragrande maggioranza dei bambini i vantaggi di tornare a scuola superano di gran lunga il rischio di contagiarsi e di contagiare gli adulti”.
“Il lungo lockdown – affermano i due studiosi – può influenzare non solo la capacità di apprendimento, ma anche la propensione all’abbandono scolastico e una adeguata crescita psicologica ed emozionale dei nostri studenti. In più, i costi della prolungata chiusura delle scuole possono essere insostenibili per le famiglie, accentuare le disuguaglianze tra le classi sociali e generare perdite permanenti per gli studenti e per tutto il paese”.