Ormai nei social network non si parla d’altro: l’argomento all’ordine del giorno è il “piano Reggi-Giannini” di portare 36 ore l’orario di servizio dei docenti e di ridurre di un anno il percorso della scuola superiore sia per consentire il diploma a 18 anni sia per liberare risorse da utilizzare per il contratto e per un po’ di “premialità”.
Le petizioni e i documenti di protesta sottoscritti con l’ormai classico “mi piace” non si contano ed è difficile farne un resoconto completo.
Per l’occasione, il gruppo Insegnanti, uno dei più attivi su FB, ha cambiato anche la propria immagine che adesso propone un mucchietto di gessetti colorati spezzettati, con la scritta “Ci siamo rotti! Salviamo la scuola pubblica!”.
Lo stesso gruppo, nelle ultime ore, ha raccolto centinaia di firme su un documento che è un po’ un racconto di come vivono oggi gli insegnanti italiani: con un tono più narrativo che “politico” in senso stretto si parla di scuole con banchi malandati (quando ci sono), computer che non si accendono, di palestre prive di attrezzature ma anche di compresenze ormai inesistenti e docenti troppo spesso impegnati a sostituire colleghi assenti o ad “accudire” classi eccessivamente numerose più che a formare e a educare.
L’estate del 2014 incomincia così a diventare molto simile a quella del 2008 quando però la protesta contro il piano Tremonti-Gelmini venne gestita più che altro dai movimenti dei precari.
A questo punto si tratta di capire quale posizione assumeranno i sindacati rappresentativi e cioè se tenteranno un accordo a tutti i costi con il Governo o se ascolteranno la propria base.
Anche perché ormai una delle “minacce” che si sta diffondendo in rete è quella di “stracciare la tessera” davanti al segretario provinciale del proprio sindacato.
Insomma c’è il rischio che si crei di nuovo una frattura con le organizzazioni sindacali come era accaduto all’epoca della protesta contro il concorsone.
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