La personalizzazione della politica è senz’altro un pericolo dei nostri tempi e non possiamo pensare – se non in un attacco di ingenuità – che certe scabrose “pensate” sulla scuola siano state messe a punto nella splendida solitudine dello studio ministeriale. Abbiamo però cominciato a credere che Lucia Azzolina fosse una sorta di “capretta espiatoria” (la definizione non è nostra ma di Gianfranco Pasquino, professore emerito all’Università di Bologna, che la usa in un suo articolo comparso su Huffington Post) dopo la vicenda dei “banchi con le rotelle”, che ha costituito una sorta di potente distrattore di massa rispetto al fatto che di scuola, negli ultimi sei mesi, non si sia mai parlato seriamente. Quando la “capretta espiatoria” seguirà la sua sorte naturale e verrà immolata, la situazione, per la scuola, purtroppo, non cambierà automaticamente.
Guardiamo al rientro di settembre e siamo allarmati. Il Ministero, con il suo ultimo proclama dichiara di non aver “mai lasciato sola la scuola” e che “continuerà a supportarla in un’ottica di grande comunità al servizio delle studentesse e degli studenti (…) Nelle prossime settimane e anche dopo l’avvio delle lezioni proseguirà incessante il lavoro per la scuola, pilastro del Paese, e per il diritto allo studio delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi”.
Di tale lavoro incessante vogliamo cogliere qualche aspetto. Il primo riguarda il test sierologico cui si potrà volontariamente sottoporre il personale.. Riteniamo che testare per verificare la diffusione del virus sia giusto, ma non possiamo mettere tra parentesi l’aleatorietà di una misura che si affida a test la cui attendibilità è discutibile e che non verrà fatto, comunque, a tappeto. I lavoratori della scuola sono circa un milione e trecentomila: ammettiamo che la gran parte di essi aderisca allo screening, ma cosa si propone per coloro che il test non vorranno farlo e per gli otto milioni di studenti che affluiranno nelle aule? Quanto al dibattito sulle mascherine non vogliamo contribuire al chiasso mediatico; supponiamo che andrà, anche qui, come deve andare. Qualcuno si sottoporrà all’uso della mascherina, molti altri no. In ogni caso, il problema resta per i bambini inferiori ai 6 anni, proprio quelli che è più difficile tenere distanziati e che le mascherine non le terranno.
Tenuto poi conto che i lavoratori della scuola che superano i 55 anni sono circa 400.000, ci sembra che escludere l’età come fattore che rende un lavoratore “fragile” sia stata una mossa strategica volta non certo a difendere la salute dei cittadini lavoratori ma a garantire la presenza in aula del personale “anziano”. A suo tempo, quando si è trattato dell’Esame di maturità, avevamo denunciato il comportamento incongruente di dirigenti scolastici e USR i quali, nonostante il documento INAIL sull’argomento fosse inequivocabile, avevano negato il lavoro da casa a chi ne aveva fatto richiesta in ragione dell’età. Adesso, nell’ultimo Rapporto ISS COVID-19 i lavoratori “anziani” non sono più menzionati come lavoratori fragili e sarà necessario un quadro patologico severo per far sì che qualcuno possa essere considerato a rischio ed esonerato dal lavoro “in presenza”. Aggiungiamo che non c’è alcuna evidenza scientifica che giustifichi l’esclusione del personale sopra i 55 anni dalle tutele previste dal rapporto INAIL dell’aprile scorso.
La scuola, questa istituzione così importante, deve insomma riaprire ad ogni costo. E riaprirà, ne siamo sicuri, senza un piano coerente per la ripresa, con provvedimenti abborracciati e dichiarazioni ad effetto della ministra che piovono come grandine e producono gli stessi effetti che la grandine produce su un campo coltivato.
Le nostre proposte, che non riteniamo risolutive, in quanto, se il contagio crescerà, nessuna comunità, tanto meno quella scolastica, potrà essere considerata sicura, restano sempre le stesse: ridurre drasticamente il numero di studenti presenti nelle aule (e questo si può fare soltanto prevedendo almeno lo sdoppiamento delle classi, passando ad orari articolati su due turni e assumendo un numero adeguato di docenti ed ATA), provvedere tutte le scuole di servizi igienici e presidi sanitari all’altezza della situazione; fare uno sforzo supplementare per le scuole materne ed i primi anni delle elementari, dove si deve pensare ad una didattica per piccoli gruppi; provvedere, almeno alla misurazione della temperatura corporea di chi entra nella scuola.
Con tutto ciò, la ripresa è un rischio: ma, se invece di far parole, si fosse provveduto ad attuare le misure appena elencate, tale rischio sarebbe affrontabile. Va da sé che molti problemi urgenti restano fuori dall’elenco di cui sopra: per esempio, il nodo, irrisolto, dei trasporti.
A noi non sembra che i “sindacati” abbiano boicottato la Ministra, come ella stessa sostiene; ci sembra, anzi, che le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative abbiano avuto una linea morbida. Altrimenti l’ultimo documento dell’Istituto Superiore di Sanità avrebbe scatenato vibratissime proteste. Il documento in questione è un florilegio di provvedimenti inutili e macchinosi. Cosa fare, per esempio, se un alunno manifesta sintomi Covid? Ecco:”Se un alunno manifesta la sintomatologia a scuola, le raccomandazioni prevedono che vada isolato in un’area apposita assistito da un adulto che indossi una mascherina chirurgica e che i genitori vengano immediatamente allertati ed attivati. Una volta riportato a casa, i genitori devono contattare il pediatra di libera scelta o medico di famiglia, che dopo avere valutato la situazione, deciderà se è necessario contattare il contattare il Dipartimento di prevenzione (DdP) per l’esecuzione del tampone”. Pensiamo ad una scuola con mille studenti. Se l’1% degli stessi si sentisse male, sarebbero necessari dieci locali e dieci adulti per la sorveglianza: un bel pasticcio, visto che la “sintomatologia” prevede febbre, tosse, starnuti, diarrea etc. disturbi molto comuni tra bambini e ragazzi.
In questo sconclusionato fiume di parole che ci trascina verso il fatidico 14 settembre è difficile navigare, ma è facile prevedere come andrà: se le scuole riapriranno (visto che i contagi sono in crescita qualche dubbio lo si può nutrire) capiterà ciò che è capitato in Germania: richiuderanno dopo pochi giorni. A meno che non accada un “miracolo italiano”, a meno che gruppi di pressione non reclamino a gran voce la “priorità della scuola”. Anche noi pensiamo che la scuola debba avere priorità ma siamo altrettanto convinti che essa debba essere emancipata dal ruolo ancillare di custodire i più giovani per una parte della giornata. La scuola va restituita al suo compito più alto, che è quello di educare ed istruire: e a scuola, come altrove, si deve lavorare in sicurezza. Non vorremmo trovarci nella situazione paradossale per cui sia più sicuro andare al supermercato che andare a scuola.
Infine, guardiamo pure agli altri Paesi, ma con giudizio: in Thailandia il virus è stato affrontato rinchiudendo gli studenti in cubicoli di plastica e già qualche mese fa girava il video in cui bambini molto piccoli, con visiera e mascherina, si accingevano a prender posto nei loro banchi, immobili e schierati come soldatini. Auspichiamo di poter instaurare un “nuovo ordine educativo” in un paio di mesi? Pensiamo di poter convincere i genitori italiani che i loro piccoli possono stare per mezza giornata con mascherina e visiera sul volto o immobili nel loro cubicolo? Se immaginiamo che ciò non sia possibile, cerchiamo di rientrare nelle aule con coscienza, il che significa non accettare nessuna situazione di rischio aggiuntivo e denunciare, chiedendone la soluzione tempestiva, tutte le carenze che rileveremo, a cominciare dal mancato rispetto del numero di alunni per classe in base alla normativa vigente[1].
[1] Secondo il mai superato D.M. 18/12/1975, aule di altezza non minore di tre metri; rapporto alunni superficie di 1.80 mq/ alunno nelle scuole materne, elementari , medie e 1,96 mq/ alunno nelle scuole superiori, senza tener conto degli arredi) .
Giovanna Lo Presti (CUB Scuola)
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