Entrambi si sono scagliati contro i social network, definendoli strumenti che danneggiano le nuove generazioni, quei giovani di oggi che trascorrono molte ore sfogliando le pagine e scrivendo commenti vuoti di significato e di senso critico.
Uno è stato un grande scrittore, docente di Semiotica all’Alma Mater Studiorum di Bologna, il prof. Umberto Eco (deceduto qualche anno fa; l’altro un autorevole psichiatra, autore di best sellers e romanzi di successo, il prof. Vittorino Andreoli.
Umberto Eco qualche anno prima di morire si scagliò ferocemente contro i social network lanciando una vera e propria invettiva contro l’uso indiscriminato che le nuove generazioni, ossia i nativi digitali fanno di twitter, facebook e altri social. Le parole pronunciate da Eco furono dure: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”.
Dalle pagine de “Il Giornale”, invece, il prof. Andreoli, se la prende anch’egli con i social network: “Facebook andrebbe chiuso. Lì abbiamo perso l’individualità, crediamo di avere un potere che è inesistente. L’individuo non sta nelle cose che mostra ma in ciò che non dice. Invece i social ci spingono a dire tutto, ci banalizzano. I social sono un bisogno di esistere perché siamo morti. Creano una condizione di compenso per le persone frustrate […] Quando non si sa più distinguere tra virtuale e reale è pericoloso. Si estende l’apprendimento virtuale nella propria casa, nella propria vita”.
A dir la verità i social network annullano le relazioni sociali tra i giovani perché essi non dialogano più in quanto tutto viaggia nel virtuale che li allontana dal mondo reale, il mondo che stupisce, che emoziona. I ragazzi hanno bisogno di provare le emozioni forti che li scuota dal torpore e da tutto ciò che è arido, vuoto, inconsistente. Devono sentire i palpiti del cuore che solo il dialogo vero, il contatto vero può generare, altrimenti tutto diventa futile, leggero, banale. Se riuscissimo a ricreare i rapporti umani che generano contatti tra le persone, forse l’umanità si salva. E per salvare l’umanità ci vuole sempre una sola istituzione, deputata a questo compito di rieducazione dei giovani del nostro tempo: la SCUOLA e insieme con la scuola l’altra agenzia educativa, ossia la FAMIGLIA.
Mario Bocola