“È il momento di riprendere la parola, la scuola non può più restare in silenzio”: così si apre un lungo documento del Cidi in cui, a partire dalla nuova situazione politica, la storica associazione professionale prova ad elencare le iniziative da mettere in atto per far sì che nella scuola riprenda il dibattito sui grandi temi della legalità , della conoscenza, dell’inclusione.
“La scuola italiana – si legge nel documento – ha integrato dal dopoguerra in poi prima i figli dell’immigrazione e dopo i nuovi italiani, senza lasciare in un angolo i portatori delle tante e diverse disabilità. Ecco perché non possiamo più far finta di niente. Occorre agire, e farlo in forma collettiva, perché sia un segnale forte e significativo in un momento storico che segna la rottura di argini all’intolleranza che credevamo indistruttibili. La scuola vince l’intolleranza con la conoscenza”.
“La scuola – sostiene il Cidi – è veramente scuola se fa sentire ciascun alunno e alunna ‘soggetto’, portatore di valori e di aspettative da sviluppare, ma in un contesto in cui si è costantemente ‘soggetti all’altro’, che sarà conosciuto e rispettato nella sua singolarità grazie alla collaborazione che la scuola impone fra tutti”.
“Fuori non è così – denuncia il Cidi – fuori, nel Paese, sembrano crescere ignoranza, arroganza, indifferenza ai soprusi dei fondamentali diritti dell’uomo nel nome di una effimera ricerca di sicurezza, utilizzando argomenti e falsificando la realtà al solo scopo di fomentare le paure”.
Una riflessione particolare riguarda il tema dell’educazione alla cittadinanza: “Non è sufficiente insegnare la Carta costituzionale se ciò avviene in una scuola che non si faccia carico di essere presidio di democrazia del Paese; che non riesce a rispettare il mandato che la Costituzione stessa le ha dato con l’articolo 3: quel ‘rimuovere gli ostacoli’ impegna in primis la scuola, ma quando leggiamo che abbiamo perso negli ultimi 12 anni 3 milioni e mezzo di studenti dobbiamo dirci che la nostra non è ancora la scuola secondo Costituzione”.
Senza trascurare anche questione organizzative e didattiche che però rimandano a temi che da sempre sono centrali nel dibattito pedagogico: “Dobbiamo mettere in discussione la lezione puramente trasmissiva, il ruolo passivo degli studenti, l’intoccabilità dei contenuti, l’erosione costante del tempo curricolare che va di pari passo con l’esplosione dell’extra curricolare, ormai contenitore/recinto di progetti di ogni tipo, che di comune acquisiscono la totale ininfluenza sulle dinamiche quotidiane della scuola”.
E ancora: “Bisogna rimettere in discussione il voto che è il nemico del piacere di apprendere. Motiva allo studio solo chi è in una logica di competizione, ma per fortuna molti giovani ancora non lo sono”.
Per arrivare anche a proposte concrete: “Dobbiamo compiere scelte radicali, diminuire la quantità di contenuti e fare della scuola un centro di ricerca permanente per la co-costruzione della conoscenza. Un luogo di studio anche per gli insegnanti, perché se nel Talmud la parola maestro non esiste ed è sostituita da ‘studente saggio’ significa che chi ha smesso di studiare non può essere maestro di nessuno”.
Su questo punto il Cidi insiste molto: “Non si può fare tutto, occorre scegliere perché l’obiettivo da raggiungere è la profondità e significatività delle conoscenze, non la quantità. Il sapere sarà significativo per gli studenti se da un lato esso è sviluppato prima di ogni cosa in un contesto di apprendimento motivante e se è capace di dialogare con il loro mondo e con le loro esigenze, in modo da rendere ciascuno soggetto attivo nella costruzione della conoscenza; dall’altro se è un sapere a loro accessibile ed esplorabile in profondità, cioè non atomico, ma connesso a molti altri fatti, conoscenze, concetti”.
La conclusione è netta, ed è il tentativo di richiamare alla propria responsabilità tutti i docenti che ancora si riconoscono in un progetto di scuola democratica e inclusiva, al servizio dei giovani: “Sappiamo che le risposte in tempi brevi non sono nelle corde della scuola, ci vorrà tempo, ma proprio per questo siamo chiamati ad agire subito, nell’immediato, per difendere le possibilità e le potenzialità che sono presenti nella scuola. Riprendiamo la parola. Ricominciamo a pensare”.
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