Primavera, tempo di domande di mobilità per i lavoratori della scuola (docenti, personale educativo e ATA). Una mobilità che dall’intesa di fine anno scorso (guarda caso, scuole chiuse) da un lato se da un lato contemplava la deroga del vincolo triennale per i trasferimenti provinciali – ma per un numero limitato di lavoratori e lavoratrici! – tuttavia confermava, con limitazioni del tutto insoddisfacenti, uno dei pilastri della legge 107-2015 (la “scuola alla buona”), ossia la chiamata diretta (vanamente ribattezzata “per competenze” per celare le ovvie applicazioni clientelari e feudali che essa comporta in un tessuto dalla scarsa etica come quello del potere nell’amministrazione pubblica italica). Abbiamo già espresso le nostre fondate critiche a quell’intesa.
Per noi di Risorgimento socialista SCUOLA DELLA REPUBBLICA E CHIAMATA DIRETTA SONO INCONCILIABILI.
Il nuovo indirizzo del MIUR appare segnato, com’era stato previsto, da segnali ambivalenti: chi attendeva una netta discontinuità con la rimozione del precedente e contestatissimo abbinamento Giannini-Faraone dopo la sconfitta referendaria del 4 dicembre è di fatto rimasto deluso. Già il caso dell’intesa politica di fine anno sulla prossima mobilità dei docenti mostrava un differente approccio ministeriale, più felpato e concertativo, che cerca di neutralizzare mediante qualche concessione il profondo dissenso di larga parte del mondo della scuola, con l’esito di un più netto solco fra sindacati e lavoratori in lotta. Un simile approccio ha segnato anche la contestuale approvazione delle deleghe, con cui la fatidica legge 107 veniva a configurarsi come (ennesima) riforma organica nella quasi completa indifferenza dello stesso mondo della scuola: il nostro partito, fra i pochi, ha aderito alle scarne manifestazioni di protesta contro tale approvazione.
È restato in sordina un altro tema, potenzialmente dirompente, sul quale vogliamo fare luce.
NO ALLE SUPERIORI QUADRIENNALI: RIDUZIONISMO DIDATTICO E DISEGUAGLIANZE FRA STUDENTI
Col nuovo anno è ora il caso della “riscoperta” della sperimentazione delle superiori in quattro anni, con l’autorizzazione di altre cento prime classi: un esperimento che si pensava fosse saltato con il cambio ai vertici del ministero. La nuova ministra dell’Istruzione, secondo indiscrezioni di stampa apparse mesi fa su Il Sole 24 e di recente su ItaliaOggi, avrebbe ripreso l’iter amministrativo con un decreto che arriverà al Cspi (il Consiglio superiore della pubblica istruzione, l’organo tecnico-consultivo del Miur) per il parere.
Non riteniamo, semplicisticamente, che il senso profondo di questa sperimentazione sia di natura economica (il solito contenimento delle spese, cioè tagli, di triste gelminiana memoria) ma di natura didattica, ma in una direzione pressoché opposta alla nostra concezione di didattica: nostra non solo in relazione alla nostra connotazione politica (socialisti e antiliberisti) ma soprattutto perché chiaramente rinveniente dalla Costituzione.
Nonostante le precedenti annualità di sperimentazione non si riesce ancora a capire come in quattro anni si possano raggiungere realmente (al di là di indicazioni effimere come quelle delle prove Invalsi) i medesimi obiettivi formativi di un percorso quinquennale. La stessa comparazione intrascolastica (ossia all’interno di una stessa scuola), nella quale ci dovranno essere una classe a 4 anni e classi a 5, pare non essere una soluzione esauriente.
Ciò per due motivi dettati da buon senso e da una reale esperienza didattica. Il primo riguarda il tema dell’aporia, generata dalla concentrazione di programmi e materie in 4 anni, fra eccessivo carico didattico (fra cui l’orario allungato, l’anticipo di materie come la filosofia per i licei al secondo anno) e esigenza pedagogica di tempi più distesi per un’effettiva ricostruzione personale del sapere, da declinare peraltro anche in termini di “competenze” (a meno che esse non siano, come sospettato da più parti, il passpartout per una valutazione leggera, ossia non orientativa né deontologicamente fondata).
I processi di apprendimento appaiono penalizzati per molti studenti reali perché, come insegna la letteratura specialistica, non possono essere predeterminati né meccanicamente indirizzati. Inoltre, proprio l’insistenza nelle ultime indicazioni nazionali, da un lato, di uno studio multidisciplinare (chiamato impropriamente “interdisciplinare”) e, dall’altro, dell’approfondimento del Novecento mal si conciliano con tempi ristretti, spesso contingentati, in virtù della necessità di un numero adeguato di verifiche scritte e orali.
Questo per noi è riduzionismo didattico e le indicazioni trapelate dagli organi di stampa su progetti contraddistinti da un elevato livello di “innovazione didattica” (essendo pertanto le restanti scuole segnate da un atavico conservatorismo didattico?) e da altri elementi à la page (metodologia Clil; le immancabili tecnologie digitali; l’alternanza scuola-lavoro da rafforzare “a prescindere”; la partecipazione a progetti di mobilità internazionale) di quella che possiamo definire la peggiore delle neolingue, il didattichese (erede del “latinorum” dei don Abbondio, Azzeccagarbugli e simili), non riescono a nascondere una particolare predisposizione alla narrazione del nulla di nuovo, salvo appunto la concentrazione dei programmi e degli anni di corso.
VEDI ALLA VOCE “DISUGUGLIANZE”
Nondimeno, come spesso capita di sottolineare, ad essere decisivo è il solito differenziale di capitale sociale: in altri termini, ciò che conta non è tanto la qualità dell’offerta formativa dell’istituto quanto la disponibilità di una rete sociale dietro ogni alunno. Al di là di chi è dotato di precoci proprie capacità di apprendimento-rendimento scolastici (i due aspetti non sono fra loro strettamente consequenziali, come sanno in molti), per gli altri che faranno più fatica con simili carichi di lavoro la differenza sarà data dal patrimonio della propria famiglia: culturale, in primo luogo, per chi ha genitori o parenti portatori di discreti livelli culturali, ma anche socio-economico (influenza sul corpo docente e sui presidi, possibilità di lezioni privati o altri supporti, come viaggi all’estero per potenziare le lingue straniere). Siamo alle solite: la propria rete familiare assume carattere predittivo di percorsi e risultati, nel quadro di una generale ritirata dei servizi pubblici nel contrastare le forme più odiose di disuguaglianza socio-economica, agli antipodi del chiaro dettato costituzionale dell’articolo 3, comma secondo:
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»
C’è infine un ultimo aspetto che ha sempre a che fare con la disuguaglianza e che dovrebbe divenire obiettivo di mobilitazione degli studenti italiani. Non si capisce bene come mai si debba accettare che, a parità di percorsi, alcuni studenti (una minoranza spesso già elitaria di suo) possano ricevere il diploma dopo 4 anni di corso e altri, la maggioranza (il popolo degli studenti, le cui famiglie spesso sono state segnate dagli effetti della persistente crisi), invece un anno dopo. Passo dopo passo stiamo tornando alla situazione degli anni ’50, alla vecchia scuola media differenziata su base socio-culturale e, perché no?, su base territoriale.
Chiediamo pertanto ai sindacati della scuola, alle organizzazioni studentesche, ai genitori consapevoli, alle forze politiche e alla cittadinanza attiva di contrastare questa sperimentazione. Ciò, lo ribadiamo, non per sole preoccupazioni, pur legittime, sui livelli occupazionali ma soprattutto per le ricadute didattiche, proprio per coerenza con gli obiettivi di una scuola della Costituzione.
Siamo al rovesciamento di una didattica basata sui principi costituzionali: in tal senso questa sperimentazione non è che il correlato paradidattico della proposta, sconfitta!, di revisione costituzionale.
Scuola e ricerca pubblica – lotta contro disuguaglianze e clientele – legalità sostanziale – scorrimento sociale – sviluppo civile: sono queste le nostre stelle polari del nostro impegno.
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