Un congresso che fa il punto sulla situazione della scuola, in generale, ed in Fiuli Venezia Giulia, ma che segna anche una nuova pagina del Sindacato. “Alla luce di quello che sta succedendo e del bisogno di tutele di chi nella scuola lavora – spiega il segretario uscente Donato Lamorte – abbiamo deciso di regionalizzare la nostra categoria: in questo modo saremo meglio attrezzati alle nuove sfide, capaci di dare risposte concrete e soprattutto di essere più vicini a chi rappresentiamo, superando di fatto campanilismi e steccati”.
Insomma una Cisl Scuola pronta ad incidere in modo ancor più determinante sulle partite aperte, in primis attraverso la concertazione. “Ci piacerebbe che in questo Paese, ma anche in questa regione, si parlasse di più di scuola: purtroppo, invece, in questi anni si è dimenticato che proprio la scuola è un elemento imprescindibile di sviluppo ancorato ai più grandi cambiamenti in atto”.
“Oggi ci troviamo di fronte ad una realtà stressata, vittima di politiche confuse, punitive ed autoritarie più orientate ai tagli ragionieristici che alla crescita della scuola con il suo capitale di professionalità”.
In Friuli Venezia Giulia a fare le spese di “calcoli miopi” sono stati in questi anni oltre 2mila lavoratori, tra personale Ata e docenti, senza contare il taglio alle risorse economiche che di fatto ha “annichilito il sistema dell’istruzione statale”, impedendo anche interventi sulla sicurezza degli edifici.
Tuttavia – per la Cisl Scuola, come emerso anche dal dibattito – i nodi non finiscono qui, malgrado i diversi risultati portati a casa dalla categoria come, ad esempio, la stabilizzazione a livello nazionale di 90mila precari.
C’è, infatti, il problema aperto degli organici per il sostegno e quello annoso della valutazione delle istituzioni scolastiche, ma anche il blocco del rinnovo contrattuale. A livello regionale, poi, desta preoccupazione la questione del ridimensionamento scolastico “irresponsabile” che ha creato un’assurda discrasia tra “mega scuole con un numero altissimo di studenti, fuori da ogni media sia nazionale che regionale” e piccole scuole impossibilitate, per le dimensioni, ad avere un dirigente scolastico e un direttore dei servizi amministrativi.
Al pari crescono i timori legati non solo alla sorte delle scuole non statali paritarie, diffuse soprattutto a Udine e Pordenone (146) e che contano circa 1.500 dipendenti, molte delle quali a rischio chiusura a causa della crisi economica che ha reso difficile il pagamento delle rette per le famiglie, ma anche del sistema della formazione professionale regionale (che coinvolge più di 4mila addetti) che sconta un taglio di finanziamenti pari a 6 milioni e a cui va a sommarsi una contrazione d’attività dovuta al venir meno delle risorse legate al Fondo Sociale Europeo.
“Di fronte a questo quadro riteniamo necessario che la Regione si doti di una nuova governance con l’obiettivo di creare un sistema della formazione sempre più proteso verso le politiche attive del lavoro e a supporto dell’apparato economico industriale”.
Precise richieste vengono anche dal nazionale della categoria, Francesco Scrima che per la scuola chiede al prossimo Esecutivo di investire nel capitale umano. “Oggi la sfida tra i Paesi si gioca più che sulla materia prima, sulla materia grigia”.
Dopo il taglio di oltre 8,4 miliardi subiti dal comparto con un “atto di estrema arroganza”, la scuola merita un’azione risarcitoria, il che per Scrima significa garantire strutture e tecnologie, aprire il contratto del personale, mettere mano all’edilizia scolastica.
“L’Italia deve tornare ad avvicinarsi agli altri Paesi nel rapporto tra investimenti per la scuola e Pil”. Obiettivo che si raggiungerebbe con un investimento di almeno 4-5 miliardi. Quanto infine al tema caldo di questi giorni, ovvero il test di ammissione richiesto per gli istituti tecnici, Scrima non fa sconti: “Questo è l’effetto della crisi e del patto di stabilità che si è abbattuto sull’edilizia scolastica: boccio il test perchè è molto pericoloso per la scuola dell’obbligo, ma boccio anche le istituzioni locali che non hanno saputo garantire le strutture”.
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