Anche Cittadinanzattiva sul suo portale si chiede il motivo per il quale ilo Mim sia stato costretto a mettere le cosiddette “quote blu” nel prossimo concorso a preside, considerato che nella scuola, il genere meno rappresentato è quello maschile, visto che 8 docenti su 10 sono donne e la percentuale è in costante aumento.
Anche noi, su questo portale, abbiamo a lungo scritto su questa crisi di “vocazioni” all’insegnamento da parte dei maschi, cercando di capirne i motivi, nella sincerazione che il docente maschio in una classe è importante perché, come sostengono esperti psicopedagogisti, la “femminilizzazione dell’insegnamento può avere conseguenze distorcenti nella costruzione, tra i giovani, dell’immagine dei ruoli maschili e femminili all’interno della società”, così come accade in famiglia.
Dunque l’argomento sulla eccessiva femminilizzazione non è peregrino, anzi acquista anche una valenza sociale, pedagogica, formativa e culturale.
Infatti i numeri, perfino quelli segnalati da Cittadinanzattiva, non appaiono confortanti. Troppe maestre, quasi il 100%, non soltanto nella scuola dell’infanzia e nella primaria, ma anche alle superiori. Qui, segnala Cittadinanzattiva, le professoresse sono passate dal 48% al 67% del totale negli ultimi 55 anni. È naturale, dunque, che anche tra i dirigenti scolastici si contino più donne che uomini.
Da qui pure la domanda: ma perché gli uomini non scelgono più la professione dell’insegnante?
“Una prima risposta la fornisce l’Ocse che, nel suo rapporto annuale sullo stato dell’istruzione nei Paesi più industrializzati, al capitolo Italia dice che le ragioni sono due: lo stereotipo che lega le donne ai lavori di cura e la bassa retribuzione dei docenti (si veda l’edizione 2023 di Education at a glance, in Italia il salario reale di maestri e professori è diminuito dell’1,3%), che non rappresenta certo un incentivo a preferire l’insegnamento rispetto ad altre professioni meglio retribuite”.
In altre parole, anche se qui l’argomento diventa delicato, il problema della scarsa presenza maschile a scuola dovrebbe riguardare la retribuzione, nel senso che non sarebbero state create le condizioni affinché questo lavoro dia adeguatezza remunerativa e prestigio sociale.
Ci sarebbe la sensazione diffusa che darsi all’insegnamento sia una sorta di accettazione volontaria del fallimento professionale dell’uomo, mentre per le donne, sia la flessibilità di orario e sia la stessa funzione possano concederle più spazi di manovra in ambito lavorativo e familiare, dedicandosi con uguale profitto sia alla famiglia e sia a questa gratificante professione educativa che diventa, forse, un prolungamento del mitico focolare.
Il dibattito è comunque aperto
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