Il Comitato opzione donna ha promosso una Class action contro l’Inps per due sue circolari del 2012, che hanno modificato l’applicazione della legge Maroni del 2004, la quale permetteva alle donne con 57 anni e 35 di contributi, di andare in pensione con il sistema retributivo fino al 2015.
L’iniziativa è stata presentata a Montecitorio dalla presidente del Comitato, Dianella Maroni, dagli avvocati Andrea Maestri e Giorgio Sacco, e dalla parlamentare del Pd della commissione Lavoro Marialuisa Gnecchi.
Le circolari dell’Inps contestate dal Comitato, sono state emanate dall’istituto nel marzo del 2012, introducendo dei requisiti diversi da quelli dalla legge del 2004, che taglia fuori tutte le donne che maturano i requisiti nel 2015. Gnecchi ha spiegato che sono state approvate in Parlamento ben due risoluzioni, ma che l’Inps non ha ritirato le Circolari, né il ministero del Welfare è intervenuto.
Dianella Maroni ha spiegato, in base a una tabella dell’Inps, che l’applicazione della cosiddetta Opzione Donna costa 554 milioni fino al 2019, ma che ne fa poi risparmiare 1.729 fino al 2041 (l’anno fino al quale, in base alle aspettative di vita, le beneficiarie percepirebbero l’assegno), perché le pensioni sono più basse essendo calcolate con metodo contributivo puro.
Sono circa 6.000 le donne che potenziali beneficiarie di questa Opzione, molte delle quali per di più hanno ora perso il lavoro, e sono così prive di reddito. A fronte del silenzio dell’Inps, il Comitato ha promosso una azione collettiva che si muove su due piani. La prima è una in base all’autotutela amministrativa, che sollecita l’Inps (o il ministro Poletti) a annullare la circolare; la seconda è una class action pubblic, che diffida l’Inps a riformare le due circolare entro90 giorni. (Ansa)
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