Sulla necessità che il numero degli alunni per classe debba essere ridotto in modo significativo sono ormai tutti d’accordo.
La battaglia contro le cosiddette “classi pollaio” che all’inizio della legislatura sembra essere appannaggio del Movimento 5 Stelle è diventa poco per volta condivisa da tutte le forze politiche.
Ma finora non sono state adottate ancora misure significative se si eccettua il fatto che negli ultimi anni, nonostante il calo del numero degli alunni, non c’è stata alcuna riduzione degli organici.
Adesso, con l’approvazione del Recovery Plan, il tema è tornato d’attualità e in più circostanze il Governo si è premurato di sottolineare che con le risorse del Piano sarà possibile affrontare il problema.
Per la verità, però, nel documento approvato dal Consiglio dei Ministri non c’è traccia di finanziamenti dedicati.
Per capire un po’ meglio la questione può essere però utile leggere la relazione presentata al Parlamento dal ministro Bianchi nella giornata del 4 maggio.
Il Ministro ha spiegato che il Recovery Plan prevede una vera e propria riforma del sistema scolastico che ha come primo obiettivo quello di “fornire soluzioni concrete ad alcuni problemi che le scuole stanno vivendo con particolare sofferenza, il numero degli alunni per classe e il dimensionamento della rete scolastica”.
Ma cosa significa questo?
“I raffronti statistici presentano una situazione italiana che nella sua media non è diversa da quella di altri Paesi” ha spiegato Bianchi che ha subito aggiunto: “Tuttavia, in diverse realtà scolastiche il numero di alunni per classe supera la media nazionale con ricadute sia sulla qualità della didattica sia sui risultati”.
“Per sostenere le istituzioni scolastiche interessate – ha concluso il Ministro – si intende intervenire per individuare soluzioni più efficaci e funzionali: gruppi flessibili di apprendimento, personalizzazione dei percorsi, interventi mirati per il miglioramento della qualità dei processi formativi, soprattutto attività indirizzate agli allievi più fragili. Si tratta di ripensare l’attuale modello scuola nell’ottica del superamento delle situazioni più difficili, tenendo conto la complessità sotto i diversi profili e nelle diverse aree geografiche”.
In sostanza il ragionamento del Governo sembra essere: il rapporto fra numero docenti e numero alunni non è molto diverso da quello di molti altri Paese europei, ma in Italia c’è il problema che esiste una grande variabilità fra i diversi territori e i diversi ordini di scuola.
E allora la soluzione non può che essere quella di rivedere il modello organizzativo, a partire dalla possibilità che gli organici vengano definiti non tanto con riferimento alle classi quanto piuttosto al numero complessivo di alunni.
D’altronde c’è chi fa osservare che la “classe” statica non è l’unico modo per organizzare la didattica. Per esempio, per quale motivo nella secondaria di secondo grado l’alunno che viene respinto deve necessariamente ripetere l’anno? Non potrebbe ripetere solo i corsi delle discipline in cui è carente?
In proposito non va dimenticato che nella legge sulla autonomia scolastica (il DPR 275 del 1999) la stessa parola “classe” è usata molto poco e ricorre solamente 3 volte in tutto, mente si parla piuttosto di gruppi, di personalizzazione e di percorsi formativi.
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