Dopo la comunicazione delle scuole agli Ambiti territoriali delle decisioni dei Collegi dei docenti sulle quote di autonomia, sta entrando nel vivo la “partita” degli organici. Da questi, infatti, deriveranno eventuali soprannumerarietà, sulla base delle graduatorie d’istituto dei docenti di ruolo. In molti casi, però, il quadro non è ancora definito. Innanzitutto perché per alcune settimane potrebbero esserci integrazioni derivanti dall’organico di fatto. Ma anche perché vi sono casi in cui i dirigenti scolastici, ma anche le famiglie, chiedono all’ufficio di competenza di poter formare classi sinora negate.
Il problema è che, come un anno fa, le norme rimangono immutate, ferme ai parametri introdotti col dimensionamento Tremonti-Gelmini, in particolare con la famigerata Legge 133 del 2008. Solo che in queste condizioni la richiesta del Comitato tecnico scientifico di rispettare il distanziamento fisico non è certo agevolata: quasi sempre, infatti, gli alunni vengono collocati in aule che non superano i 40-50 metri quadri.
Continuano quindi a formarsi, anche in piena pandemia, classi con oltre 30 alunni, volte anche in presenza di disabili. Il tutto in ossequio alle rigide norme sulle formazioni di classi iniziali.
Anzi, le cose vanno pure peggio: perché per il 2020 il governo aveva approvato una deroga che prevedeva, in particolari casi, classi da non più di 23 alunni. Oggi di quella deroga non c’è più traccia.
Su questo tema, la nostra redazione continua ricevere lamentele. Ed è di questi giorni la denuncia pubblica di Mario Rusconi, presidente Anp Lazio-Roma sulla “composizione delle classi”, perchè nulla è stato fatto “nel ritorno a scuola da settembre 2020 ad oggi. Risultano classi che possono variare da 22 a 29/30 alunni, talvolta con la presenza di alunni disabili”, dice il sindacalista.
Secondo Rusconi “è grave che, ad oggi, non sia stata cambiata la norma che prevede una tale composizione numerica. Rischiamo di tornare” in presenza al 100% “con classi sovraffollate, che costituiscono non solo un potenziale pericolo per la salute dei nostri ragazzi, ma anche un danno formativo grave per quegli studenti più fragili”.
Ricordiamo che i parametri minimi per la formazione delle prime classi prevedono numeri piuttosto elevati: 18 alunni all’infanzia, 15 alla primaria, 18 alle medie e 27 alle superiori. A meno che non vi siano disabili: nel caso siano gravi non si potrebbe andare oltre le 20 unità (indicazione che però nei fatti spesso viene superata).
Senza disabili si può arrivare a classi da 29 alunni nella scuola dell’infanzia, 27 alla primaria, 28 alle medie e 30 alle superiori. Numeri davvero alti, che anche in questo caso non di rado vengono oltrepassati.
Ma non finisce qui. Perché per la formazione delle classi intermedie, soprattutto alle superiori, i dirigenti concedono difficilmente classi attorno ai 15 alunni, così capita che la classe si sopprime.
La politica dell’amministrazione è semplice: non vi devono essere aggravi di spesa rispetto a quanto prefissato. Come dire: il diritto allo studio si può assolvere altrove, ma senza mai uscire dai conti prefissati. Se poi a rimetterci è l’alunno, che deve farsi decine di chilometri al giorno per raggiungere la scuola, non è un problema.
I vincoli scattano anche sulla concessione di classi aggiuntive. Se, ad esempio, ad una scuola giungono richieste di iscrizioni superiori alle classi “concesse” dall’ufficio scolastico, la scuola è costretta a rifiutarne una parte.
È il caso di Atri, nel teramano, dove al liceo scientifico ad indirizzo sportivo dell’IIS ‘Adone Zoli’ sono giunte un alto numero di domande di iscrizione al prossimo anno scolastico, in tutto 46. Un numero che sembrerebbe perfetto per creare due classi da 23. Invece, non se ne parla: l’ex Provveditorato concede solo una classe, magari da 26-28.
Almeno una quindicina di ragazzi dovranno trovarsi un’altra scuola. Con il rifiuto dell’amministrazione, in pratica, si crea un doppio danno: lo spostamento obbligato di tanti ragazzi, probabilmente su un altro corso di studio o in un’altra località, considerando che il liceo sportivo non è presente in tutti gli istituti superiori; ma anche la formazione di una classe con il massimo numero.
Le agenzie di stampa riportano che il sindaco di Atri, Piergiogio Ferretti, ha scritto al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: non si dà pace, non comprende perché non si possano creare due classi prime.
Lo scorso 5 febbraio aveva scritto anche all’Ufficio scolastico regionale “senza ottenere risposta”.
“Sin dalla prima istituzione del Liceo ad indirizzo sportivo – ha detto il sindaco – si è attuata una serie di investimenti tesi a incoraggiare lo sviluppo di tale indirizzo”.
Di fronte al rifiuto della seconda classe si dice “basito e sconvolto: il fatto che un istituto della città di Atri raccolga così tanti iscritti – dice – è solo una notizia positiva che deve rallegrarci e devono essere messe in campo tutte le azioni per accogliere al meglio gli studenti. Invece si nega loro il diritto a scegliere, come hanno potuto fare i loro coetanei, il proprio indirizzo di studi preferito”.
Anche il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, sostiene le ragioni del sindaco e degli studenti di Atri. “È paradossale che ormai da troppi anni ci si ritrovi quasi sempre a dover chiudere classi o intere scuole perché gli alunni diminuiscono, soprattutto nelle aree interne dove non reggono determinati parametri, e quando invece ci sono richieste importanti si costringono i ragazzi a scegliere altri indirizzi o altri luoghi”.
“Il sindaco – dice Marsilio – ha pienamente ragione nella sua protesta e noi sosterremo insieme a lui, nei confronti del ministro dell’Istruzione, questa protesta affinché autorizzi l’apertura della seconda classe”.
La Regione Abruzzo, infine, era già all’opera per chiedere il riconoscimento del convitto e potenziare il liceo ad indirizzo sportivo.
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