L’attrice Claudia Pandolfi è tra i protagonisti del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” incentrato sulla storia del ragazzo bullizzato per il suo aspetto e il suo modo di vestire che si è tolto la vita nel 2012 a 15 anni. La 49enne ha parlato del suo ruolo da madre dello studente nella pellicola e dell’esperienza con suo figlio.
Il film è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma. “È un film speciale”, ha detto Pandolfi tra le lacrime a La Repubblica. “Un elemento importante di questa storia è il silenzio, prima di tutto quello di Andrea che non ha voluto spiegare a sua mamma ciò che era successo. Anche se avevano un rapporto bellissimo, di grande gioia e empatia. Da fuori sembrava tutto normale ma c’era qualcosa che si è radicato sempre più nel profondo”, ha esordito.
“Un gorgo che ha risucchiato Andrea. La madre aveva voluto la password del profilo del figlio non per mancanza di fiducia, ma perché è giusto che alcune cose vengano controllate da lontano, rimanendo un po’ borderline nella storia dei nostri figli. È una cosa che tento di fare con mio figlio, ci riguarda molto da vicino se siamo mamme. Grazie a questo ha scoperto l’insospettabile, la derisione totale del figlio che aveva l’unica colpa di essere colorato”, ha spiegato.
Questa la sua esperienza a scuola: “Ho avuto un’adolescenza positiva, sono stata amata dalla famiglia e da chi avevo intorno. Ma ho cinquant’anni, a quei tempi non c’era internet, i social, i cellulari li avevano solo gli uomini d’affari. Probabilmente questa roba esisteva ma più sopita, facile da insabbiare. Oggi è tutto esplicito, non abbiamo scuse”.
“Ciò che disturba è la complicità del silenzio, come se certi comportamenti fossero scontati, come se tutti avessero paura di affrontare le cose. Si ricorre alla frase fatta ‘se non riguarda me non mi sfiora, non mi interessa’. Invece oggi è decodificato, possiamo riconoscere subito dove si sta andando”, ha aggiunto parlando del bullismo.
La Pandolfi ha raccontato un aspetto molto particolare: uno dei suoi figli, a quanto pare, ha compiuto atti di bullismo. Ecco cosa ha fatto: “Appena ho sentito l’odore, il comportamento che poteva portare i miei figli a sbagliare in quella direzione, diventare portatori del male, ho immediatamente fatto qualcosa. Perché sono stata, in prima persona, disturbata. Non era un fatto grave, ma per me era qualcosa che poteva trasformarsi in mostruoso. Così ho preso mio figlio, non dico quale per non metterlo in imbarazzo, l’ho guardato negli occhi e i miei erano pieni di lacrime. Avergli parlato in maniera così onesta ha fatto sì che il giorno dopo cambiasse del tutto atteggiamento nei confronti di quel bambino. Il giorno dopo, era protettivo: non aderiva più a quella specie di scherzo goliardico che stava facendo insieme ad altri. Gli ho fatto capire che quello che stava accadendo era profondamente sbagliato, per tutti gli attori di quella messa in scena. E ha compreso ciò che poteva aver provato il ragazzo”.
La colonna sonora del film è firmata dalla cantante Arisa che ha riflettuto sul caso del ragazzo di quindici anni di Senigallia, vittima di vessazioni, che si è tolto la vita con la pistola del padre.
“È capitato anche a me, non scendo nei dettagli di una vicenda molto personale. Ognuno reagisce a proprio modo, dipende dalla sensibilità. Non ci sono casi più o meno gravi, non c’è un margine entro cui è accettabile svilire una persona. Il rispetto deve entrare nella cultura quotidiana: purtroppo siamo ancora lontani dall’obiettivo”, ha detto la cantante.
“Mettiamocelo in testa – ripete Arisa – queste cose capitano e non sono rare”, ha aggiunto, commentando il caso di Senigallia avvenuto due giorni dopo la pubblicazione della canzone, che si intitola “Canta ancora“. “Quando ho letto la sceneggiatura del film ciò che più mi ha colpito è immaginarti madre, a come puoi stare quando sai che tuo figlio certi posti li deve frequentare, certe persone le deve incontrare. Io canto e penso a tutte le mamme che farebbero qualsiasi cosa per proteggere i figli, eppure in certi momenti sono impotenti di fronte all’odio e all’ignoranza. Quando noi stessi giudichiamo fermiamoci un attimo e riflettiamo: se lo facessero con me? Se lo facessero con mio figlio?”.
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