Prima di venerdì 26 marzo vi sono stati altre giornate di mobilitazione, in particolare del popolo della scuola pubblica e dei tanti settori lavorativi travolti dalla crisi economica: ma in questa giornata il conflitto sociale è stato il più trasversale e intenso dall’inizio della pandemia. I COBAS, che avevano convocato lo sciopero nazionale della scuola e del TPL, insieme a Priorità alla scuola e al CNPS (Coordinamento nazionale precari scuola), hanno portato in piazza più di 10mila persone in 67 città, con un numero significativo di adesioni allo sciopero. Il TPL (Trasporto pubblico locale) ha scioperato per il rinnovo del contratto e per un’inversione di rotta rispetto alle privatizzazioni e ai tagli degli ultimi decenni. I Riders sono scesi in piazza per chiedere l’assunzione stabile e l’applicazione del contratto nazionale, invitando anche i/le cittadini/e allo sciopero delle ordinazioni. I tassisti, i ristoratori, i lavoratori autonomi hanno manifestato per chiedere ristori rapidi e significativi. I lavoratori delle imprese in crisi industriali hanno manifestato di fronte al MISE contro lo spettro immediato di 200mila licenziamenti, che diventeranno oltre un milione con la fine del blocco dei licenziamenti, a luglio per le grandi imprese e a novembre per le piccole. Insomma, sta crescendo la coscienza collettiva del carattere strategico del conflitto sociale e politico che si gioca intorno alla destinazione dei 200 miliardi circa del Recovery Plan. Dobbiamo fare in modo che diventi una duratura inversione di rotta rispetto ai decenni di individualismo e alla sospensione del conflitto del periodo pandemico. Il conflitto non è solo un fattore positivo di trasformazione sociale, ma anche uno strumento indispensabile per rafforzare i soggetti individualmente più deboli e ridurre la disuguaglianza sostanziale, come prevede l’art.3 della Costituzione.
In particolare, le manifestazioni del popolo della scuola pubblica hanno evidenziato come il governo Draghi, nonostante i proclami, abbia continuato a chiudere le scuole per prime. Non basta che il 7 aprile si riapra nelle “zone rosse” solo fino alla prima media, condannando ancora alla DAD gli studenti dai 12 anni in su. Va garantito almeno il 50 % in presenza alle superiori e l’apertura totale negli altri ordini di scuola, con interventi urgenti per aumentarne la sicurezza: presìdi sanitari per i tamponi periodici; vaccinazione per tutto il personale che ne fa richiesta. Ma anche il prossimo anno scolastico sarà assediato da una pandemia che non sparirà in due o tre mesi: per cui bisogna rapidamente investire i miliardi previsti per la scuola nel Recovery Plan per garantire una maggiore efficacia didattica e la scuola in presenza e in sicurezza, riducendo a 20 il numero massimo di alunni/e per classe (15 in presenza di alunni/e disabili), assumendo con concorsi per soli titoli i docenti con 3 anni di servizio e gli Ata con 24 mesi e investendo massicciamente nell’edilizia scolastica per reperire nuovi spazi. Invece, il Recovery Plan del governo è incentrato sul potenziamento della digitalizzazione e della DAD, sulla subordinazione della scuola pubblica agli interessi imprenditoriali e per quella parte relativa al potenziamento del tempo pieno, della scuola dell’infanzia e degli asili nido, vi è il rischio concreto che si usino i patti di comunità, cari al Ministro Bianchi, che sono un altro strumento per la privatizzazione della scuola. Si tratta di un Plan in perfetta continuità con la scuola dell’ “autonomia” e dell’aziendalizzazione degli ultimi decenni. Bisogna, al contrario, tornare al modello di scuola previsto dalla Costituzione: libertà d’insegnamento, pluralismo didattico-culturale e democrazia collegiale. La scuola deve puntare, ancor di più di fronte alle opportunità e ai rischi della digitalizzazione, a fornire degli strumenti cognitivi che mettano gli studenti in grado di orientarsi consapevolmente nella gran massa di informazioni rinvenibile su Internet. In una parola, bisogna ripuntare alla formazione del cittadino.
Ma il Ministero in questi giorni sta formando classi e organico per l’anno prossimo ancora in base alla riforma Gelmini, dividendo per esempio gli iscritti alle prime e terze superiori per 27 e potendo arrivare fino a 30-32. Siamo entrati in una nuova fase di politica economica, caratterizzata della spesa pubblica in deficit (con Draghi che chiede all’ UE di incrementare i 750 mld del Recovery e di rendere strutturali gli Eurobond) e si continua ad applicare nella scuola una riforma partorita in un’altra era geologica, quella del neoliberismo e dell’austerità!
Vogliamo ritrovarci l’anno prossimo con 230mila cattedre vacanti, incrementando ulteriormente il tasso di precarizzazione del personale, che è già il più alto in Europa?
Per tutti questi motivi, come COBAS, continueremo a mobilitarci nei prossimi mesi nella scuola e negli altri settori conflittuali: e in particolare, tenendo conto che la difesa dell’istruzione è uno dei temi centrali del Recovery Planet alternativo elaborato dalla coalizione della Società della Cura, di cui i COBAS fanno parte, parteciperemo in tante città alla mobilitazione nazionale di SdC del 10 aprile.
Rino Capasso Esecutivo nazionale COBAS – Confederazione dei Comitati di base
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