Per molte/i docenti che insegnano da anni il passaggio in ruolo dovrebbe essere un punto di arrivo felice. E invece le regole che disciplinano le immissioni in ruolo sono diventate così oppressive da far rimpiangere la condizione di precariato. In molti casi il passaggio in ruolo prospetta la scelta ineludibile tra l’accettazione di un posto lontano a tempo indeterminato, con il vincolo quinquennale di permanenza, e il mantenimento di una situazione di un lavoro precario non troppo lontano da casa. Le norme dell’ultimo anno sono state del tutto peggiorative: in particolare, la legge 159/2019 ha previsto il vincolo quinquennale per chi entra in ruolo e il depennamento da tutte le altre graduatorie, in modo da inchiodare per cinque anni il personale docente ad una scuola, togliendo ogni possibilità di variazione della carriera professionale:
“3. A decorrere dalle immissioni in ruolo disposte per l’anno scolastico 2020/2021, i docenti a qualunque titolo destinatari di nomina a tempo indeterminato possono chiedere il trasferimento, l’assegnazione provvisoria o l’utilizzazione in altra istituzione scolastica ovvero ricoprire incarichi di insegnamento a tempo determinato in altro ruolo o classe di concorso soltanto dopo cinque anni scolastici di effettivo servizio nell’istituzione scolastica di titolarità (…).
Il vincolo impedisce ogni genere di mobilità (trasferimento, assegnazione provvisoria, utilizzazione e incarico di supplenza) e comporta il depennamento, al superamento dell’anno di prova, da tutte le graduatorie nelle quali si è inseriti (ad eccezione dalle graduatorie dei concorsi):
3-bis. L’immissione in ruolo comporta, all’esito positivo del periodo di formazione e di prova, la decadenza da ogni graduatoria finalizzata alla stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato o indeterminato per il personale del comparto scuola, ad eccezione di graduatorie di concorsi ordinari per titoli ed esami di procedure concorsuali diverse da quella di immissione in ruolo”.
Dopo anni di precariato, di viaggi, supplenze mancate, supplenze a singhiozzo, contratti spezzati, il passaggio in ruolo significa per molti far le valigie e trasferirsi altrove per almeno un quinquennio: una scelta che non tutte/i sono nelle condizioni di fare, per i sacrifici che comporta. Per chi ha figli minori, genitori anziani, attività radicate nel territorio, abbandonare tutto non è una prospettiva accettabile. In particolare, un vecchio non si trasporta come una valigia. Per una persona di giovane età il trasferimento per motivi lavorativi può rivelarsi un’occasione di crescita, ma per chi ha più di quaranta o addirittura cinquant’anni, il che è ormai la regola, il passaggio in ruolo diventa una condanna. Con effetti raccapriccianti: chi accetta, obtorto collo, un posto lontano, per cinque anni dovrà assistere allo spettacolo che i posti che si liberano vicino a casa saranno assunti da altri con minore anzianità di servizio o minor punteggio in graduatoria. Ci ritroviamo quindi in una situazione addirittura peggiore di quella creata dal grande piano di reclutamento su base nazionale previsto dalla Legge 107/2015 (Governo Renzi).
La scelta politica di costringere il personale neo-immesso in ruolo al vincolo quinquennale sul posto accettato si connette alla decisione di immettere in ruolo solo su posti in organico di diritto. Ma non è un assioma evidente che si debba immettere in ruolo su un posto in organico di diritto, e nemmeno una prassi consolidata. Per molti anni sono state fatte le immissioni in ruolo sui posti in organico di fatto (chi scrive è stato immesso in ruolo su posto di un’altra titolare). Anche lo scorso anno, per tutto il personale ATA, il passaggio in ruolo è avvenuto su tutti i posti disponibili in organico di fatto. In alcuni anni si era previsto un organico aggiuntivo (molto più funzionale del cosiddetto organico di potenziamento) sul quale si potevano operare immissioni in ruolo. E quest’anno, con l’emergenza COVID, è stato previsto un organico aggiuntivo sul quale si sarebbero potuti impegnare docenti da immettere in ruolo. E così si può fare per il prossimo primo settembre. Agendo in tal modo, si permetterebbe al personale neo-immesso in ruolo di stabilizzarsi nella provincia in cui lavora già, trovando una sede definitiva già dal prossimo anno scolastico, fruendo non solo dei posti vacanti esistenti, e di quelli che si rendono disponibili dai futuri pensionamenti, ma anche dei posti aggiuntivi.
In sintesi, per riportare la situazione ad una logica non punitiva, si dovrebbe ripristinare la possibilità di essere immessi in ruolo su posti in organico di fatto; eliminare il vincolo quinquennale e consentire la permanenza nelle graduatorie in cui si è inseriti. Non è difficile: basta avere solo la volontà politica.
Andrea Degiorgi – Esecutivo Nazionale COBAS – Comitati di base della scuola
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