Tra il 1989 e il 2000, vengono poste le basi teoriche e normative all’interno dell’UE che spiegano i frequenti mutamenti che, subito dopo, investono l’istruzione italiana. In quella dozzina di anni, su sollecitazione dell’ERT (European Round Table of Industrialist, potente lobby di imprenditori europei), l’UE produce vari documenti (Libri Bianchi UE del 1993, 1995 e 1996, Documento conclusivo del Consiglio Europeo riunitosi a Lisbona nel 2000) in cui viene delineato il nuovo profilo dell’istruzione fondato sui seguenti ingredienti.
Formazione permanente
È la capacità di imparare durante tutta la vita per “promuovere occupabilità e inclusione sociale“, afferma l’UE. Le frequenti trasformazioni tecnologiche, che investono repentinamente conoscenze e comportamenti, impongono all’istruzione di adeguarsi opportunamente alle innovazioni. Ad esse, deve adeguarsi anche tutta la popolazione, pena l’esclusione sociale. Questo il presupposto teorico di tutto il processo. A ben vedere, però, si intravede il tentativo di suscitare un bisogno fittizio al fine di vendere la “merce” istruzione per un periodo molto più lungo dell’attuale durata degli studi.
Le cosiddette “competenze”
Nel Summit di Lisbona si indicano le “nuove competenze di base” da acquisire: quelle relative alle tecnologie dell’informazione, a una cultura tecnologica, allo spirito d’impresa (“capacità dell’individuo a superarsi nel campo professionale“) e alle attitudini sociali (“fiducia in se stessi, indipendenza, attitudine ad assumersi rischi“). Il vero fine di ciò è dichiarato dal Consiglio Europeo riunito ad Amsterdam nel 1997, migliorare “l’adattamento dei lavoratori alle evoluzioni del mercato del lavoro“.
Le conseguenza dell’apprendimento per competenze sono svariate:
- Si crea un sistema europeo omogeneo nella valutazione sul modello dei Crediti Formativi già in vigore nelle Università italiane. Il che necessita di strumenti di verifica basati sugli indovinelli modello Invalsi e rende la valutazione una mera operazione computistica che può svolgere un software qualsiasi.
- Comporta l’introduzione di una Certificazione delle competenze valida in tutta l’UE. Ancora non ci siamo arrivati ma manca poco, visto che da anni le scuole italiane già lo fanno ed è da poco sopraggiunto il Curriculum dello studente che si muove in questa direzione.
- Occorre armonizzare a livello UE la durata dei corsi scolastici e universitari e proprio a ciò puntano le continue sparate di politici e ministri per ridurre di un anno la durata delle scuole superiori. Sottolineiamo lo stretto legame che si genera esplicitamente tra istruzione e aziende con l’introduzione delle competenze imprenditoriali.
Sviluppo delle TIC (Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione)
Le conclusioni del summit di Lisbona rivendicano “uno sforzo nella fornitura alle scuole di computer multimediali, uno sforzo per la formazione degli insegnanti europei alle tecniche informatiche, lo sviluppo di servizi e software educativi europei nonché l’accelerazione della messa in rete di scuole e enti di formazione“. Anche questo è stato ampiamente fatto ed è addirittura nel Recovery plan presentato all’UE dal governo Draghi: gran parte dei finanziamenti per l’istruzione è destinato all’incremento dell’e-learning, già copiosamente praticato con Dad e DDI durante la pandemia.
Autonomia scolastica
L’UE promuove le iniziative nazionali volte a sostituire la gestione centralizzata della scuola pubblica con livelli di gestione autonomi e in situazione di forte concorrenza. Ed è a questa sfera che afferisce l’utilizzo dei risultati dei quiz Invalsi per stilare graduatorie delle migliori scuole e università. Questo aspetto in parte è stato realizzato con l’introduzione dell’autonomia scolastica. Manca un ulteriore tassello costituito dall’Autonomia differenziata regionale, la cui effettiva attuazione stenta a partire.
Gli obiettivi reali del piano europeo
Gli scopi veri di quanto abbiamo brevemente descritto sono essenzialmente tre:
- trasferire alle imprese una notevole mole di denaro pubblico attraverso l’acquisto di prodotti tecnologici (pc, lavagne interattive, software, piattaforme ecc,);
- allargare la presenza di scuole e università private;
- rendere l’istruzione il luogo dell’addestramento di manodopera duttile, docile, poco acculturata (formata a colpi di coding e protocolli), pronta a cambiare repentinamente mansioni e luogo di lavoro, al servizio del Moloch imprenditoriale.
Appare evidente che il processo di cambiamento – ancora in corso – ha celebrato le esequie dell’istruzione come l’abbiamo conosciuta nella seconda metà del ‘900: un percorso relazionale mirato all’acquisizione di conoscenze e comportamenti critici, supportati da una certa consapevolezza sia sul piano sociale che individuale. In tutto questo, resta un convitato di pietra: l’insegnante. Nei documenti dell’UE si parla poco di questa figura; per fortuna ci pensa l’OCSE a colmare la lacuna: “l’apprendimento a vita non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti ma deve essere assicurato da ‘prestatori di servizi educativi’ “. Evviva la sincerità!
Carmelo Lucchesi coordinatore della rivista COBAS
PUBBLIREDAZIONALE