C’è un mercato in crescita a livello mondiale: è quello dei Cobot , i“collaborative Robot” in grado di affiancare gli umani nello svolgimento delle attività più routinarie e standard del processo delle industrie manifatturiere.
Si chiama YuMi, è prodotto dal colosso svizzero della robotica Abb e giorno dopo giorno sostituisce i colleghi umani in tante fabbriche nel mondo nel compiere le attività ripetitive come ad esempio quello dell’assemblaggio di componenti all’impacchettamento, passando per la pallettazione e la levigatura o a quelle di assemblare valvole e depositarle su un nastro come avviene nello stabilimento di Polpenazze del Garda (Brescia) di Camozzi, un gruppo industriale che riunisce 13 aziende e si dedica soprattutto alla produzione di componenti per l’automazione industriale: dalla valvole ai cilindri, con diramazioni più recenti nel mondo della manifattura tridimensionale. Come riportato da “Il sole 24 ore” . E la collega che prima si occupava di questa fase della lavorazione ? Adesso ha la responsabilità di assicurare la qualità del prodotto, controllando a pochi metri distanza i pezzi confezionati pochi secondi prima dalla macchina.
Secondo i dati di Markets&Research, una società di ricerca irlandese, il mercato globale dei cobot dovrebbe crescere dai 175 milioni di dollari del 2016 a una previsione di quasi 4 miliardi di dollari nel 2021, con un tasso di crescita annuo di circa l’85%.
La tecnologia dei Cobot già molto diffusa in diverse Multinazionali comincia a fare la sua timida comparsa anche in Italia. Esperimenti di robot collaborativi sono stati avviati infatti, da colossi nostrani come Luxottica o dagli stabilimenti nella nostra Penisola di società straniere, come la multinazionale svedese degli elettrodomestici Electrolux ma anche le Pmi stanno mostrando un certo interesse grazie ad una serie di aspetti uno su tutti il basso costi di queste macchine (sotto i 100mila euro) e il fatto che possono coprire anche più turni consecutivi a parità ci costi ovviamente.
Ma queste macchine sono apparati anche informatizzati in grado di raccogliere le informazioni attraverso la connessione su sistemi aziendali in cloud che integrano quindi l’automazione e la digitalizzazione delle aziende.
Negli ultimi anni è maturata infatti la consapevolezza che i modelli produttivi vadano profondamente innovati per raggiungere livelli di efficienza più elevati. Le prime risposte sono arrivate dal mondo dell’ICT e dall’automazione: quindi maggiore digitalizzazione, dispositivi sempre più intelligenti e sempre più connessi, macchine sempre più evolute e sempre più capaci di interagire con l’uomo: in sostanza la base della nuova rivoluzione industriale in atto.
Come ha spiegato al Sole24 Ore Giovanni Miragliotta direttore dell’Osservatorio industria 4.0 e dell’Osservatorio “artificial intelligence”, siamo in questo momento in “in una fase di avvicinamento. Complessivamente parliamo di poche applicazioni, con natura sperimentale” prosegue Miragliotta. “ A volte con esito positivo, a volte meno. È chiaro che i cobot offrono servizi interessanti, ma è presto per fare bilanci”.
Sebbene il compito ora eseguito dall’operaio verrà nel prossimo futuro assegnato ad una macchina, serviranno sicuramente tecnici più specializzati per la progettazione, l’installazione, la messa in servizio e la manutenzione di queste nuove macchine.
Di certo il mercato del lavoro è in fibrillazione perché ancora non sono del tutto chiari gli impatti di queste macchine sull’occupazione Non è ancora chiaro quale sarà il saldo tra i nuovi posti di lavoro creati e quelli sottratti a causa dell’automatizzazione di alcune funzioni produttive. Infatti se da una parte i cobot si aggiungono ai dipendenti umani, in alcuni casi potrebbero completamente sostituirli rendendo necessaria una riqualificazione dei dipendenti , oppure l’assunzione di nuove figure in grado di aumentare l’efficienza delle macchine.
Un ruolo che sarà però difficile da ricoprire. Un target, dicono gli addetti ai lavori, molto ricercato a livello sia nazione che internazionale. Non servono solo gli ingegneri e in generale laureati di estrazione STEM, le discipline tecnico-scientifiche che dominano la domanda su scala internazionale, ma l’integrazione di automi in azienda richiederà una capacità di costruire modelli per analizzare i dati raccolti dai robot, studiare l’impatto sulla società e i consumi, rapportarsi in maniera diversa con i dipendenti “convertiti” dall’affiancamento dei sistemi automatici.
In poche parole serviranno competenze trasversali e non solo specialistiche e tecniche, quindi ci sarà bisogno anche di laureati in Matematica, fisica e filosofia. La tecnologia rimane come dicono gli esperti, un ingranaggio nelle mani di un certo business dove la figura centrale rimane quella dell’uomo.
Alla scuola l’arduo compito di fornire al mercato del lavoro le competenze trasversali richieste.
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