Il 3 dicembre scorso l’Assemblea della Camera ha concluso l’esame del D.L. 29 ottobre 2019, n. 126, adottato dal Consiglio dei Ministri il 10 ottobre 2019 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 30 ottobre 2019, apportando alcune modifiche al testo.
Tra le principali novità, in tema di didattica digitale e programmazione informatica, è stato introdotto l’art. 1-ter, che prevede l’acquisizione, da parte del personale docente, di competenze relative alle metodologie e tecnologie della didattica digitale e della programmazione informatica (coding). Il coding dunque viene inserito tra le metodologie didattiche da acquisire nell’ambito dei crediti formativi o durante il periodo di formazione e prova legato al concorso.
In particolare, la norma dispone che le competenze dovranno essere acquisite nei corsi di laurea in scienze della formazione primaria per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria e nell’ambito delle metodologie e tecnologie didattiche da acquisire ai fini del conseguimento dei 24 CFU, uno dei requisiti necessari per l’accesso al concorso per docente e insegnante tecnico-pratico nella scuola secondaria, o durante il periodo di formazione e prova.
I settori scientifico-disciplinari all’interno dei quali sono acquisiti i Cfu/Cfa relativi alle competenze indicate, nonché i relativi obiettivi formativi, saranno individuati con decreto ministeriale.
Cos’è il coding?
Letteralmente coding significa «programmazione informatica». Alla base di questa disciplina c’è il pensiero computazionale, cioè tutti quei processi mentali che mirano alla risoluzione di problemi combinando metodi caratteristici e strumenti intellettuali.
In pratica, siccome i linguaggi di programmazione sono definiti da regole, alla base del coding c’è il saper riconoscere quali sono le regole necessarie affinché specifici comandi possano portare al risultato atteso.
Perché il coding come accesso all’insegnamento?
Lo spiega l’onorevole Valentina Aprea di Forza Italia, cha ha proposto l’inserimento della disposizione in questione nel decreto scuola.
“Si tratta, colleghi, di una svolta epocale nel momento in cui deliberiamo l’assunzione di 48 mila docenti – ha dichiarato Aprea nel suo discorso alla Camera – epocale nel senso letterale del termine, poiché rimanda alla caratteristica della nostra epoca che è digitale, diversamente dal secolo scorso; ed è una norma che per la prima volta nella legislazione scolastica italiana non rimanda alla didattica digitale né con caratteristiche sperimentali né con riferimento solo ad alcuni docenti specialisti con competenze di tipo tecnologico, ma è finalizzata ad assicurare a tutti i docenti della scuola italiana, proprio tutti, le competenze dei docenti del terzo millennio”.
“Vorrei ricordare – ha aggiunto Aprea – che il nostro Paese, per ritardi di diversa natura, assenza di visione, non riuscirà a rispettare gli impegni presi in sede europea rispetto alla strategia Europa 2020, che include, come è noto, l’Agenda digitale europea 2020, una strategia per una crescita intelligente, sostenibile, inclusiva che prevede al punto 6 il miglioramento dell’alfabetizzazione, delle competenze e dell’inclusione appunto nel mondo digitale”.
“A fronte di questi obiettivi, che altri Paesi raggiungeranno nell’ormai prossimo anno 2020 – ha concluso la parlamentare di FI – l’OCSE nel rapporto Outlook 2019 ha evidenziato che ben il 75,2 per cento dei docenti italiani necessitano di una maggiore formazione in materia di ICT, risultando per questo la peggior performance dell’OCSE. Sempre l’OCSE ha per questo fissato in 15 anni il digital divide che separa l’Italia dagli standard della scuola europea. Insomma, in Italia per lasciare in una zona comfort i docenti della scuola italiana, che trascinano i modelli di insegnamento e apprendimento del Novecento nell’era digitale, stiamo rubando il futuro ai nostri giovani”.