Gli insegnanti delle scuole pubbliche in Colombia hanno riempito Plaza de Bolívar, nel centro di Bogotà, per protestare contro una riforma dell’istruzione che a loro parere li penalizzerebbe, accusando il Congresso di non curare gli interessi del settore educativo e annunciando pure scioperi permanente affinchè questa riforma non passi.
In modo particolare, i docenti criticano l’aggiunta di tre articoli assai indigesti nella riforma promossa dal governo del presidente progressista, Gustavo Petro:
lo stanziamento di soldi statali anche all’istruzione privata; l’abolizione dei tre livelli di formazione prescolare; il nuovo sistema di valutazione del lavoro degli insegnanti attraverso i risultati ottenuti degli studenti nelle prove statali di cultura generale, che si svolgono nell’ultimo anno delle scuole superiori.
In Colombia fra l’altro si cerca di fare approvare una legge per garantire che il Congresso colombiano assicuri una politica nazionale sull’educazione dei bambini durante i primi anni dell’infanzia.
L’Anno scolastico in Colombia inizia a gennaio e finisce a novembre. L’istruzione obbligatoria dura 12 anni, mentre da un anno è obbligatorio l’istruzione prescolastica fino al completamento dell’istruzione media nella classe Undicesima. L’istruzione media obbligatoria è una conquista recente, visto che solo l’istruzione di base era un tempo obbligatoria.
Sembra inoltre che contesto educativo in Colombia si caratterizzi per i problemi che si possono facilmente immaginare: povertà, diffusione del lavoro informale e minorile, scarsa presenza delle istituzioni, analfabetismo e bassa qualità dell’istruzione.
Anche da qui la presa di posizione dei docenti colombiani, mentre scrive sui social la Federazione colombiana degli educatori: “L’istruzione pubblica è a rischio: oggi scendiamo in piazza in sua difesa, perché l’ombra delle privatizzazioni cerca di intromettersi nel sacro bilancio destinato alla formazione delle nuove generazioni”.
Gli insegnanti, che sono uno dei sindacati più potenti del Paese, hanno annunciato che non lasceranno la capitale fino alla conclusione del dibattito in Parlamento.
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