L’ippocampo è una piccola parte del cervello, con profilo simile a un cavalluccio marino, in cui è depositata la memoria. E’ importante almeno quanto le parti che ci consentono di ascoltare, avere sentimenti, parlare.
Alcuni questa piccola parte non la utilizzano o, meglio, ne utilizzano solo lo spicchio che gli fa comodo. Se la utilizzassero tutta saprebbero – così come lo sappiamo noi che ogni 27 gennaio celebriamo a scuola il “Giorno della memoria” attraverso racconti, poesie, disegni componimenti musicali e teatrali – che senza memoria ritornano i mostri generati dal sonno della ragione e, al contempo, viene vanificata qualsiasi virtù etica e morale. Questo cerchiamo di insegnare ai ragazzi quando parliamo della disumanità che hanno subito sulla carne viva gli ebrei. Non insegniamo a rispondere all’ira con l’ira, alla mattanza con la mattanza.
Insegniamo loro a coltivare la memoria affinché le tragedie non si ripetano. Perché sappiamo, e lo sanno anche i ragazzi, che senza memoria non c’è vera pace. Cosi come sanno, e sappiamo, che una pace unilaterale non può fregiarsi di questo meraviglioso sostantivo.
Se non riconquistiamo il concetto di umanità, che vuol dire essenzialmente non rispondere alla barbarie con la barbarie, l’essere umano è destinato a ripetere le infamie della storia.
Quelle che i nostri giovani non dovrebbero più conoscere neppure attraverso le notizie e i filmati trasmessi dai media in questi giorni di dolore. Quelle che, soprattutto, non dovrebbero subire nella loro carne viva i bambini ebrei e i bambini palestinesi.
Augusto Secchi
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