Come è stato scritto il Ddl sulla Buona Scuola?

Personalmente non ho dubbi, il ddl la Buona Scuola è stato scritto da turlupinatori, chiaramente, per stile di scrittura e per le finalità del fare scuola. Ingannatori, perché in realtà agli estensori del ddl non importa assolutamente nulla della possibilità di civilizzazione della società attraverso la scuola, soprattutto quale luogo dove la modalità di sperimentare la relazione tra persone nei differenti ruoli sia già un esempio e modello di civiltà, al contrario, agli estensori del ddl importa solo acciarpare un testo per ubbidire ad un orientamento politico di semplificazione e d’accentramento del processo delle decisioni, con l’esclusivo compito di trasformare una struttura istituzionale, oggi, nonostante ambiguità e difetti, a carattere partecipativo, collegiale e a corresponsabilità forte, in una struttura, domani, privata, a carattere piramidale, secondo gerarchia, con rinforzo di premio e castigo.

Estensori imbroglioni, perché spacciano per moderno e nuovo un ritorno secco, data la centralità del dirigente scolastico, agli anni prima del sessantotto, quando era nei poteri del Preside, attraverso le note di qualifica, da insufficiente a ottimo, bloccare o anticipare gli scatti biennali di stipendio. Eppure, Giannini, è convinta di difendere una riforma culturale rivoluzionaria, e, con una gentilezza oltre misura, dichiara, che, quando la riforma sarà capita fino in fondo da tutti, ci sarà un’accettazione ma soprattutto una partecipazione ancora più ampia, il tutto condito con un triso e ritriso attacco alle OO.SS, della Boschi, portavoce non pensante del governo, ma, in semplice funzione dell’allora Radio Londra. Forse, Giannini confonde partecipazione con supinazione, dal momento che proprio la sua riforma cancella l’idea di comunità tra pari in responsabile e libera collaborazione e partecipazione, e, rafforza, anche tra i banchi e nelle aule l’antico, degli italiani, animo di schiavo.

Torna la tiritera avvilente della gestione immediata ed efficiente, a nascondere l’obiettivo dell’impoverimento della libertà pedagogica e didattica della comunità scuola a favore dell’odiato, a parole, potere della burocrazia manageriale.

Persino il curriculum dello studente non è immaginato per l’esercizio della libertà d’apprendimento, a prescindere, oltre la logica strumentale di rendita futura, quanto, al contrario, per il controllo d’utilità da parte di altri, specie se datore di lavoro. Il grido di minaccia di Renzi, dopo il volgare suo ridere per la protesta del mondo della scuola, dà un’idea terribilmente chiara della caduta culturale e istituzionale dei nostri governanti, fatto più grave, non suscita reazioni di rigetto immediato nel suo partito. Ora diventa anche chiaro, il perché del rifiuto di questi governanti di confrontarsi con il testo della LIP, preparato non da imbelli, ma da quanti, in ogni componente della comunità scolastica, han no a cuore il diritto all’educazione, all’istruzione e alla formazione nel rispetto dei principi di pluralismo

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