Il problema fondamentale della Scuola, nel quale si annidano una miriade di problematiche minori, è quello di individuare un modello educativo, al passo con i tempi, che permetta di ridare significato ed importanza formativa a tutte le istituzioni scolastiche e, soprattutto, alla figura dell’insegnante. Questo problema è, per ovvie ragioni, sicuramente più sentito nella scuola secondaria e molto meno nella primaria. La scuola primaria gode, infatti, del vantaggio di garantire la formazione di base e quindi la figura dell’insegnante mantiene ben saldo il ruolo di formatore ed “accompagnatore” nel processo di crescita dei nostri bambini. Diverso è il caso degli adolescenti dove entrano in gioco numerosi fattori non per ultimi quelli culturali – sociali che possono rendere obsoleti tutti i modelli formativi seguiti nel recente passato.
L’evoluzione scientifica e tecnologica è stata rapidissima negli ultimi cinquant’anni ed ha stravolto il nostro modo di vita velocizzando oltremodo la tempistica necessaria a svolgere le nostre azioni quotidiane e il conseguimento dei nostri obiettivi. Si pensi al commercio on line, alle innumerevoli App che ti semplificano la vita come mai avremmo potuto immaginare, ecc. La semplificazione nell’accesso all’informazione ci ha resi tutti più pigri e dipendenti. Non ha senso attivarsi mentalmente più di tanto perché c’è sempre qualche prodotto multimediale che risponde alle nostre esigenze e fa il lavoro al posto nostro.
La pandemia Covid è stata poi il banco di prova dell’efficacia dei moderni sistemi di comunicazione che in modo rapidissimo ci hanno accolto all’interno del loro universo parallelo e della loro realtà virtuale. Viviamo ormai nell’iperspazio delle reti web all’interno di una particolare nave Entreprise che ci fa viaggiare alla velocità delle connessioni, e tutto sembra ottimale. Ma più beviamo di questo dolce nettare più cadiamo in una forma di torpore che ci fa dimenticare quanto sia importante confrontarci con le reali sfide e le concrete difficoltà che il mondo attorno a noi ci propone quotidianamente.
I nostri ragazzi sono nati in questa epoca e per loro è tutto normale. Il modello formativo classico offerto dalla scuola fino a qualche tempo fa non viene più seguito nemmeno dagli insegnanti delle ultime generazioni perché non apprezzato da un’utenza sempre più desiderosa di vedere i risultati (necessariamente positivi!) che devono derivare dalla frequenza delle lezioni. Il sacrificio di venire a scuola, di sottoporsi alle periodiche verifiche (causa, secondo alcuni, di forte stress per gli studenti!) non è più compensato dai vantaggi derivanti da ciò che si impara. Il problema sta proprio qui. Ciò che si impara non serve molto per essere speso nel mondo del lavoro dove non è facile entrare per vari motivi.
Un primo motivo è quello che non si vogliono fare lavori da diploma (peraltro spesso sottopagati) quali quelli nelle industrie o nel settore primario. I lavori che invece vanno per la maggiore (tipo quelli impiegatizi del settore terziario) non si trovano facilmente, proprio perché molto richiesti. Quindi in queste condizioni o si va all’università per tentare di guadagnarsi un posto di lavoro che piace di più e che offra una condizione economica più dignitosa o si rimane in stand by in attesa dell’occasione fortunosa (che potrebbe arrivare troppo tardi o essere anche una cattiva occasione). In questo contesto si infila la cultura mediatica (internet e i social, sostanzialmente) che è la cultura veicolare, quasi come una nuova lingua comune. Come una lingua permette di uniformarsi e comunicare per quello che serve.
Nel frattempo, i bisogni formativi si affievoliscono sempre più perché la tecnologia ci offre i suoi propri modelli di “bisogni formativi” già belli e confezionati, ai quali non si può rinunciare. Aggiornare l’iPhone all’ultima versione diventa un bisogno formativo perché si imparano tutte le nuove funzionalità in esso presenti! A nessuno importa, ovviamente, come sono state create quelle nuove applicazioni e il lavoro fatto per la loro progettazione. E la cultura offerta dalla Scuola diventa stantia e poco coinvolgente. Nei nostri ragazzi la curiosità di conoscere è stata narcotizzata dalla comodità offerta dalla realtà tecnologica.
Insomma, l’Homo tecnologicus moderno è diventato abulico, indifferente e comodista. Non ha senso faticare e farsi troppi problemi. Ma la Scuola può permettersi di assecondare tale tendenza generale nella propria azione formativa? Non deve la Scuola porsi il problema se la società andrà incontro ad un futuro di crescita economica e di solidità culturale ed etica oppure andrà in direzione opposta? In ogni caso la Scuola ha responsabilità pesantissime, perché è la Scuola che forma le future generazioni sia dal punto di vista culturale che etico.
La Scuola deve offrire un modello di riferimento e di traino per l’intera società. Oggi è la Scuola ad essere trascinata dai nuovi dilaganti modelli comportamentali e culturali che la globalizzazione tecnologica offre. Persistendo tale andamento evolutivo la Scuola diventerà sempre meno importante per la formazione dei nostri ragazzi ma pur sempre un sicuro luogo dove parcheggiare i nostri figli! Eppure, la formazione vera e competitiva la dovrà pur fare qualcuno! Le “teste pensanti” servono! Però è anche vero che ne bastano poche, e ben gestite, per far funzionare il sistema. Servono invece un gran numero di braccia senza testa per eseguire le scelte prese.
Giuseppe D’Angelo
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