Categorie: Didattica

Come insegnare storia e come istruire al “ricordo”

Da quando è nato, il Giorno della Memoria ha costituito immediatamente una pratica emozionale fatta di tre elementi fondamentali: il testimone oculare di un tempo storico, un mediatore professionale, che di solito è un docente di storia, un gruppo di adolescenti che ascolta un racconto.

Il Giorno della Memoria, si legge sul Sole 24 Ore, ha avuto la stessa struttura narrativa di come i vecchi di una società raccontano (raccontavano) ai più giovani la storia della propria famiglia. E di solito, stando a questo schema, i giovani sono disposti ad ascoltare un racconto che vogliono ereditare.

Tuttavia i giovani 2.0 non sono più quel tipo di persone che amano il racconto, hanno strumenti propri, linguaggi propri e un senso del passato prossimo che glielo fa percepire come se fosse già un tempo molto lontano. Soprattutto ascoltano le parole e i racconti di chi ha 60 anni più di loro senza immediatamente capire un mondo: o sono travolti dall’emozione oppure ne hanno talmente paura che la rifiutano.

Una generazione però cha ha comunque bisogno estremo di ascolto senza il quale non ci sarà dialogo.

Si deve allora invertire il modo di trasmettere la conoscenza del passato, partendo dalle domande, dalle loro emozioni, ricostruendo dopo le riflessioni di un giovane e aiutandolo in questo processo.

Dobbiamo, scrive Il Sole,  umilmente ascoltare le sue incertezze, accompagnare anche i suoi rifiuti, insistere sulle sue perplessità, capire che lì, in quei rifiuti, in quelle perplessità, c’è una resistenza che nasce forse anche dall’incredulità.

 

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Per 15 anni, da quando si commemora il Giorno della memoria, abbiamo detto e fatto un’operazione di questo tipo: abbiamo detto “voi non sapete, questa storia ve la racconto e voi la dovete imparare e costruirci una memoria”. In questo modo la memoria è stata in qualche modo “autoritaria”, non aveva nulla di ciò che chiedevano i portatori primi di questa storia, coloro che si sono presentati come eredi di una vicenda e che raccontavano una controstoria rispetto a quella ufficiale e che per questo doveva essere creduta come vera; per le sofferenze avute e per il rispetto dovuto a chi quelle sofferenze aveva dovuto sopportare.

Quindici anni dopo, quelle storie, riascoltate passivamente, non sono più delle storie percepite, che diverranno successivamente proprie.

Si deve partire dalle sue emozioni, dalle incertezze e anche dalle domande imbarazzanti. Dobbiamo favorire i giovani, lavorando con pazienza, includendo tante fonti (musica, narrativa, film), per far sì che l’inquietudine di queste vicende – che è l’inquietudine del loro vissuto quotidiano (e spesso non ha la parola per essere raccontata) – sia “comunicata”.

Paradossalmente, conclude Il Sole 24 Ore,  il Giorno della Memoria ha oggi nuovi protagonisti: quelli che hanno meno di 20 anni che chiedono che quella storia che fino ad oggi hanno ascoltato diventi un’esperienza emozionale, con la quale fare un percorso. Per tanti anni abbiamo pensato che fosse sufficiente leggere una frase di Levi, un testo di Brecht, una poesia. Oggi, per capire il percorso di disperazione e un vissuto conflittuale dobbiamo fare ancora di più. Dobbiamo capire cosa accade nella testa di un ragazzo quando vede «Bastardi senza gloria», o farlo riflettere sui un film come «L’onda».

Non raccontargli il totalitarismo ma farlo confrontare con una storia come quella del film, che lo mette davanti al fenomeno concreto.

La Generazione  2.0 va a cercare le immagini sul web e, se trova stimoli, allora arriverà al libro. Il compito è quello di non farli sentire in colpa di questo percorso. E ricordarsi, magari, di essere curiosa di farlo a sua volta.

Pasquale Almirante

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