Le Regioni, “condividono l’intento del disegno di legge di promuovere il raccordo di due sistemi per ampliare l’offerta educativa per i bambini da 0 a 3 anni e quella di istruzione per i bambini da 3 a 6 anni, con l’obiettivo di colmare vuoti presenti nel territorio nazionale”. Va quindi bene “l’idea che ci siano poli per la fascia di età 0-6 anni”. Ma questa non può voler dire abbassare l’età di accesso alla scuola dell’infanzia, ma al contrario integrare i servizi 0-3 e quelli 3-6 in una progettazione unitaria. La proposta delle Regioni è stata presentata il 28 maggio in sede di audizione, presso la VII Commissione (Istruzione) del Senato, per discutere sul decreto legge n. 1260 da titolo “Disposizioni in materia di sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento”.
La posizione delle Regioni è stata illustrata dall’assessore Teresa Marzocchi (Regione Emilia-Romagna) e dall’assessore Valentina Aprea (Regione Lombardia). Per questi obiettivi occorre “chiarezza istituzionale, in particolare tenendo conto del significato primario di Livello Essenziale della Prestazioni che viene introdotto dal disegno di legge. In merito ai servizi fondamentali, questi devono essere posti in carico alla fiscalità generale. Appare quindi – si legge nel documento delle Regioni – estremamente discutibile il mantenimento di una distribuzione degli oneri sui diversi livelli istituzionali”.
Attualmente, sommando gli utenti dei nidi e dei servizi integrativi, risulta pari al 13,5% la quota di bambini che si avvale di un servizio socio educativo pubblico o finanziato dai Comuni. Il Disegno di legge si pone l’obiettivo di arrivare alla copertura del 33%. “Allora occorre ricordare – si legge nel documento della Conferenza delle Regioni – che la Commissione Europea, nei suoi obbiettivi 2010, parlava di 33% per “i servizi a tempo pieno”, quindi “la copertura definita come livello essenziale dovrebbe essere collegata alla diffusione dei nidi, non dei servizi integrativi” che pur costituiscono elemento supplementare nel sistema integrato dell’offerta. Diversamente la copertura rischia di ottenersi con “servizi leggeri”, per loro natura fragili e instabili. Valutando i dati Istat e i dati di spesa degli ultimi anni “il costo pubblico medio per bambino per gli asili nido comunali è di 7.325 euro, la partecipazione degli utenti ammonta ad euro 1.709, sommando le cifre si ottiene un costo totale di 9.035 euro a bambino”.
Sempre le Regioni hanno ricordato che per le scuole dell’infanzia la situazione è sostanzialmente diversa rispetto a quella degli asili nido. La copertura del servizio attualmente è vicina al 100%. Gli alunni complessivi della scuola dell’infanzia sono infatti 1.661.534, il 98% della popolazione tra i 3 e i 5 anni. L’attenzione in questo caso – osservano le Regioni – va posta alla forte disomogeneità territoriale nella ripartizione tra la presa in carico da parte delle scuole statali e delle scuole non statali. Questo squilibrio territoriale ha un impatto rilevante sul carico finanziario da un lato sul bilancio dei Comuni e dall’altro sulla difficile situazione delle scuole dell’infanzia paritarie non comunali, che sono sempre più in difficoltà nel mantenere il servizio, a causa dei contributi sempre più ridotti da parte dei Comuni e del contributo statale non solo limitato, ma anche incerto.
L’obiettivo finale dovrà considerare la copertura del 100% della popolazione 3-5 anni, pari a 1.688.545 bambini. Anche in questo caso, come per i nidi, la definizione del servizio della scuola dell’infanzia come Livelli essenziali delle prestazioni dovrà prevedere un corretto approccio sulla base della quota capitaria e quindi in riferimento ai costi standard. “La valorizzazione degli aspetti educativi anche nei primissimi anni di vita, superando l’idea dell’accudimento e della cura, è un aspetto – sottolinea il Documento delle Regioni – che ci trova in forte accordo. Riteniamo però che tale approccio culturale non debba disperdere l’impostazione territoriale dei servizi e il radicamento, così come avviene nelle migliori prassi, del nido come servizio integrato nella rete di protezione familiare e sociale. Non può rappresentare quindi solo una scolarizzazione precoce”.
Dopo le Regioni, sempre il 28 maggio, la VII Commissione Istruzione di Palazzo Madama ha ascoltato le ragioni dell’Anief. Che, attraverso il suo presidente nazionale, Marcello Pacifico, ha chiesto di anticipare l’obbligo scolastico a cinque anni, introducendo una classe ‘ponte’ che preveda la compresenza dei maestri dell’infanzia con quelli della scuola primaria, “all’interno di una rinnovata programmazione e organizzazione degli spazi d’aula”.
Per rendere esecutivo questo progetto il sindacato ha calcolato che non si attuerebbe alcun taglio agli organici. “Anzi, il Governo – sostiene l’Anief – dovrebbe prevedere un incremento di un sesto dell’attuale stanziamento per le scuole dell’infanzia, che oggi ‘coprono’ solo il 70% della popolazione di alunni frequentanti in quella fascia di età (il 30% rimanente si rivolge agli istituti paritari)”. Anief ha spiegato ai senatori che l’anticipo a cinque anni “sarebbe il primo tassello di una riforma del percorso scolastico finalizzata a portare i nostri giovani a uscire dalla scuola con un anno di anticipo. Ma con la differenza, rispetto ad oggi, di spostare l’obbligo formativo da 16 a 18 anni”. “Si tratterebbe, del resto, solo di ripristinare l’obbligo formativo già previsto dalla Legge 144/1999, poi ridotto a 16 anni, puntando nel contempo – osserva – su una seria riforma dell’apprendistato per contrastare il crescente fenomeno dei Neet: un ‘esercito’ che si allarga di mese in mese, con oltre 2 milioni 250 mila giovani che oggi non studiano e non lavorano (il 24%)”. La primaria e la secondaria di primo grado manterrebbero l’attuale assetto mentre alle superiori si introdurrebbe, dopo l’anno di orientamento tra i 15 e i 16 anni, un biennio finale “professionalizzante scuola/lavoro organizzato e gestito dal sistema scolastico in collaborazione con l’imprenditoria e con la formazione regionale”. Anief ha quindi presentato due emendamenti al disegno di legge n. 1260, proprio per favorire l’anticipo scolastico a 5 anni.
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