Dopo gli “aumenti” (che solo in piccola parte copriranno l’inflazione reale degli ultimi dodici mesi), qualche docente spera in una buona notizia: lo stanziamento dei miliardi necessari per migliorare sensibilmente la Scuola, profittando dell’occasione offerta dal PNRR. Nell’attesa, proviamo a sognare un po’.
C’è bisogno di novità, ad esempio, nella Scuola Secondaria di Primo Grado (“media inferiore”). Urge una maggiore attenzione da parte del ministero per l’uso dei mezzi telematici e informatici: non intesi come fine, ma come strumenti da usare criticamente, spiegandone i linguaggi (multimediali e informatici) e insegnando a conoscerli, a padroneggiarli, a decodificarli per esserne liberi. Al contrario, indurre gli allievi a credere che si possa fare a meno della conoscenza e del ragionamento (delegando entrambi alle macchine) aumenta la dipendenza dei preadolescenti dall’intelligenza artificiale, e li rende consumatori acritici e compulsivi, esposti agli stereotipi della pubblicità invasiva e “personalizzata” del web e delle multinazionali. Ciò (ancorché negli auspici delle multinazionali medesime) comprometterebbe il futuro degli allievi e della società tutta.
Urge anche introdurre, nel curricolo della scuola media, un’area laboratoriale nella quale gli allievi possano imparare a decodificare il linguaggio teatrale, quello cinematografico, quello televisivo, così come tutti i linguaggi non letterari. Lo scopo è sempre quello di rendere il futuro cittadino libero dai condizionamenti di cui non è consapevole: che è poi la vera “mission” della Scuola istituita dalla Costituzione.
Nella Scuola Secondaria di Secondo Grado (“superiore”) è assolutamente necessario aumentare le ore di italiano (tagliate del 20%, persino al Ginnasio, da Gelmini e Tremonti nel 2008 per “risparmiare”, e mai più ripristinate). Aumentano, infatti, anche alle superiori gli alunni di lingua madre diversa dall’italiano; i quali, tuttavia, sono spesso più bravi in italiano (perché lo studiano a scuola) degli stessi allievi italiani, i cui codici comunicativi sono sempre più essenziali e semplificati (per usare un pietoso eufemismo). In questa debolezza linguistica generalizzata — accresciuta dalla scarsa propensione al dialogo nelle famiglie, dalla chiusura nell’uso individualistico dello smartphone, dalla TV spazzatura, dall’atomizzazione “semiautistica” del tessuto sociale — la Scuola deve tornare con forza svolgere il ruolo di alfabetizzatrice funzionale, che solo essa può svolgere e che lo Stato non deve dirigere, ma consentire e facilitare.
Nella Scuola Primaria (“elementare”) occorre studiare il linguaggio musicale, vergognosamente obliato proprio in Italia, Paese che ha inventato il codice comunicativo musicale dell’Occidente (col bel risultato che la maggioranza dei diplomati italici confonde Puccini con Guccini, Beethoven con il cane protagonista di un film, e Rossini con l’ex calciatore svizzero che militò nel Sassuolo e nella Sampdoria!).
Inoltre, in questa Penisola in cui pochissimi conoscono (bene) l’italiano e pochi masticano qualche parola di global English, occorre che i bimbi delle elementari studino a fondo due lingue comunitarie, perché ciò che si impara alle elementari non si dimentica più.
Per orientare i ragazzi delle medie in vista della scelta della scuola superiore, occorre sviluppare in loro le abilità manuali e creative, tenendo conto dei bisogni e delle vocazioni storico-culturali del territorio. È quindi necessario creare nella scuola media laboratori artistici ed artigianali all’interno di un’area didattica per l’insegnamento pratico e tecnico della musica e dell’arte, ricordando agli allievi di essere nati nella patria del Rinascimento, dell’arte, della musica, della bellezza. Perché — sarebbe ora di ricordarselo — non di solo PIL vive l’Uomo (e comunque la bellezza produce pure PIL).
Sarebbe anche ora di tornare ad insegnare seriamente ai futuri cittadini la Storia, tornando al curricolo ciclico del programma ministeriale di Storia antecedente alla “riforma” Moratti: quella che un ventennio fa seppellì gli ottimi programmi per la scuola elementare del 1985. Grazie a quella “riforma”, oggi gli studenti ginnasiali — avendo ascoltato qualcosa sull’antichità solo alle elementari (e sul medioevo solo alle medie) — non sanno chi fosse Cesare, non hanno mai sentito nominare Cicerone né Pericle, storpiano i nomi quando li leggono (“Milìzziade” anziché Milziade, “Testìmmocle” per Temistocle, “Stiticone” invece di Stilicone, e via farneticando), non comprendono il computo degli anni avanti Cristo, confondono Rinascimento e Risorgimento, scoperta dell’America e Rivoluzione francese e, quando va bene, pongono la seconda guerra mondiale negli anni ’80.
Insomma, c’è un bel po’ di lavoro da fare (e di denaro da spendere), per riportare la Scuola italiana ad essere Scuola (anziché azienda per l’omologazione del popolo verso il minimalismo culturale finalizzato ai lavori umili). Tuttavia noi (ricorrendo all’ottimismo della volontà) vogliamo credere nell’onestà intellettuale del nuovo governo e nella sua volontà di mantenere le promesse esplicitate nel programma elettorale di Fratelli d’Italia: “Aggiornamento dei programmi scolastici, tutela delle materie classiche e potenziamento dell’insegnamento delle materie scientifiche in tutti gli istituti, a partire dalla matematica”. Toccherà ai fatti — come sempre è stato — dimostrare la veridicità delle promesse.
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