Dopo la crisi di inizio d’anno, più degli anni precedenti, per la carenza di docenti, ora è arrivata la promessa di assunzioni veloci, addirittura con un test a crocette per i precari e un concorso ordinario per tutti i neolaureati.
Una buona notizia, direi, viste le difficoltà di garantire, dicevo, dal primo giorno di scuola un servizio adeguato.
Resta la domanda: se queste modalità, alla fine dell’iter, porteranno in classe i giovani migliori, più preparati, appassionati, che scelgono, lo posso dire?, per vocazione la scuola, oppure se ci ritroveremo giovani che scelgono la scuola come seconda o terza scelta rispetto ad altre prospettive del mondo del lavoro.
Perché, come sempre, contano al dunque i risultati.
Ed i risultati, negli anni, non è che siano stati tutti rose e fiori.
In poche parole, lo sappiamo che i giovani migliori non sempre scelgono la scuola come prima opzione.
Considerata ancora oggi, purtroppo, come un ammortizzatore sociale.
Basterebbe fare un’indagine sui giovani che se ne sono andati all’estero, per capire meglio motivazioni, aspettative, speranze e realtà di fatto.
Comunque una cosa va rimarcata: la caccia ai supplenti di ogni inizio d’anno una cosa ce la dice chiara, che è fallito il vecchio modello di reclutamento, che non è più possibile trascinarsi nella inefficienza che tutti abbiamo constatato anche quest’anno.
Non solo: questo sistema di reclutamento ci dice che la scuola anche oggi è centrata sui docenti, e non sugli studenti. Perché è sulla qualità di servizio agli studenti che dovrebbe invece determinare il tasso qualitativo di un servizio, di una competenza, di una professionalità, non “a prescindere”, come è oggi.
Per cui, insistere sui test a crocette, che in classe ovviamente non consideriamo come centrali nella valutazione, e poi sul vecchio modello dei concorsi ordinari , mi porta a dire che la proposta del ministro non può soddisfare la domanda di qualità che è essenziale per affrontare le esigenze formative dei ragazzi e della società di oggi.
Chi pensa più, cioè, alla qualità della didattica, alla qualità della scuola? Un test a crocette, poi, che qualità potrà mai garantire? L’abbiamo appena visto con le prove preselettive per i nuovi dirigenti scolastici.
La strada, invece, da percorrere è un sistema di abilitazione: chi entra a scuola, in poche parole, deve essere abilitato, ma non solo sulle conoscenza della propria materia, ma anzitutto sugli aspetti psicologici e contestuali del mondo della scuola. Pensiamo, ad esempio, ad un test attitudinale.
Ci vogliono concorsi regionali, aperti a tutti, convocati in base alle effettive esigenze occupazionali, e costruiti non solo in termini nozionistici.
Una volta abilitati, sono le scuole, sulla base della specificità e curvatura dei propri progetti formativi (PTOF) che devono avere la possibilità di individuare i docenti, dagli Albi professionali regionali, che possono corrispondere a quei profili. Il tutto in forma trasparente e con verifiche attente da parte degli organi periferici dell’amministrazione scolastica.
Così si sconfigge il precariato, altrimenti ogni anno si ripeteranno gli stessi discorsi, con gli stessi errori. E a rimetterci saranno i nostri ragazzi e le loro famiglie, per non parlare del nostro contesto sociale.
Infine, bisogna riprendere il discorso sulla carriera scolastica, ed uscire dal modello assistenzialistico attuale, cioè dalla finzione egualitarista che ancora domina il mondo sindacale.
Oggi la carriera docente consiste nell’agguantare, con il ruolo, la propria classe di concorso nella scuola più vicina a casa. Tutto qui.
Quando oggi si va in ruolo un docente può maturare sei scatti di anzianità in tutta la sua vita di lavoro, indipendentemente che sia bravo o meno, che lavori bene o male.
Una cosa inconcepibile in qualsiasi mondo del lavoro.
La scuola, e chiudo, dipende anzitutto (e non solo, ovviamente) dalla qualità delle persone che ci lavorano, dai presidi, dai docenti, dal personale.
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