Attualità

Come si misura la qualità della Scuola?

Nel suo commento di ieri sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia sostiene che la qualità negata a scuola  – titolo dell’articolo – dipende non tanto dai mancati investimenti in edilizia, dagli striminziti stipendi degli insegnanti, dai numeri dell’abbandono scolastico e così via di negligenza in negligenza. No. Per il noto editorialista del Corriere, il vero problema è la qualità degli insegnanti. E fin qui, al limite – ma proprio al limite – potremmo condividere il suo pensiero. Ma allorché Galli della Loggia entra nel dettaglio, spiegando cosa intende per “qualità”, allora là, no, non possiamo che essere in totale disaccordo.

Nessuno tocchi l’inclusione

Per lui, i professori di qualità sono coloro che riescono a sfuggire ad una pervasiva ideologia che ha fatto della scuola una istituzione di tipo socio-assistenziale regolata da un democraticismo pseudo benevolo che si è fatto un punto d’onore nel considerare degli inutili ferrivecchi il merito e la disciplina. Capacità e dedizione sono le due qualità fondamentali del bravo professore, non  i programmi, i laboratori, le attrezzature, l’«inclusione».

Il fatto che abbia messo tra virgolette la parola inclusione fa ancora di più comprendere quanto poco peso Della Loggia dia a questa idea che, al contrario, rappresenta il fiore all’occhiello del nostro sistema scolastico.

L’idea del “non uno di meno”, dell’accoglienza senza se e senza ma, della scuola ultimo baluardo in una società in cui molti bambini sono abbandonati a se stessi, per motivi economici, di degrado sociale, di “incompetenza genitoriale” e che proprio nella scuola trovano un ambiente che li accoglie, maestri e professori che comprendono le loro sofferenze e si prodigano per lenirle.

Ciò non significa che la scuola sia diventata, come dice Della Loggia nel suo articolo – lo ripetiamo –  una istituzione di tipo socio-assistenziale a causa di una non meglio precisata pervasiva ideologia. Anzi.

Le nostre scuole dell’infanzia e primarie sono un modello in tutto il mondo, i nostri studenti e giovani professionisti all’estero sono lodati per la qualità del loro sapere e delle loro competenze. E da dove vengono fuori questi giovani se non dai nostri licei?

La Germania, un modello che non convince

Invece, dice sempre Galli Della Loggia, Vorrei ricordare l’esempio della Germania, uno dei Paesi più liberi e democratici d’Europa. Dove al termine dei quattro anni della scuola elementare (della scuola elementare!) un alunno non può affatto iscriversi al corso di studi che più gli piace . Pensate un po’, il modello tedesco, quello della selezione precoce, quello in cui i bambini già a dieci anni sono sottoposti dall’istituzione scolastica a un triage che li orienta – con poche possibilità di sfuggire al loro destino –verso i licei o gli istituti tecnici e professionali. Il modello tedesco delle Sonderschule , le scuole speciali (chiamiamole anche, senza ipocrisie, scuole differenziali), per bambini e ragazzi diversamente abili, dove in uno dei Paesi più liberi e democratici d’Europa venivano spediti i figli degli immigrati italiani che avevano difficoltà ad imparare il tedesco.  

Chi si ricorda delle scuole differenziali in Italia? Non esistono più da oltre quarant’anni e l’Italia è stata e continua ad essere un esempio di integrazione. Conclude Della Loggia, alla fine del suo inneggiare al modello tedesco: Riesce qualcuno a raffigurarsi nei termini esatti il prestigio sociale che in un tale sistema finisce per avere l’istruzione, la figura del maestro e dell’insegnante in generale?

Per quanto ci riguarda, l’unica cosa che riusciamo a raffigurarci è che di un prestigio ottenuto a questo prezzo i docenti italiani non sanno che farsene.

Gabriele Ferrante

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