Fate in modo, scrive l’editorialista di Panorama, che “noi genitori non dobbiamo più esser costretti a fare al supermercato la doppia spesa di sapone e carta igienica per le elementari o medie dei nostri figli.
Che gli alunni non siano tarpati, nel loro desiderio di fare sport, dalla fatiscenza delle strutture.
Che l’inglese venga insegnato da professori che lo sappiano parlare e non abbiano quell’accento leccese, torinese, toscano, romano.
Che in generale i docenti siano incentivati e premiati.
Tuttavia il passaggio dal desiderio, condizionale, all’imperio è breve: “vogliamo che i nostri figli possano fare come in America, dove genitori e alunni nel tempo libero raccolgono fondi fuori dai supermarket per sponsorizzare la squadra dell’istituto, i club, le attività extra.
Vogliamo che sia consentito ai privati donare (e detrarre dalle tasse le donazioni) senza assurdi, suicidi vincoli burocratici che lo vietino. Vogliamo che i nostri figli escano dalla scuola non soltanto con una buona formazione culturale (grazie all’antica ma sempre lungimirante riforma Gentile che creò i licei classico e scientifico), ma abbiano anche un’idea di come si lavora e di come funziona il mondo, dei meccanismi che operano nella selezione secondo standard globali (test online, presentazioni in power point, addestramento a parlare in pubblico, competenze specifiche sulla base delle propensioni personali).
Vogliamo una scuola in cui i professori siano più vicini agli alunni, meno distanti e impiegatizi nell’approccio, più formativi, “friendly”, amici, quindi vicini, interattivi.
Vogliamo una scuola nazionale, non schizofrenica nei criteri di valutazione. Agli esami devono sottoporsi pure i docenti, oltre agli studenti”.
Parte quindi l consueto attacco al Mezzogiorno dove i voti “vengano regalati, che a un livello oggettivamente più basso dei risultati formativi corrispondano paradossalmente votazioni più alte (con la conseguente ingiustizia nell’opportunità d’ingresso all’Università, in Italia e all’estero).
Vogliamo la trasparenza ed equità.
Vogliamo credere in una più concreta sinergia tra le scuole superiori, l’Università e il lavoro.
E in una rivoluzione culturale che metta i nostri figli al passo con il resto mondo, allargando i programmi, sviluppando la mobilità. Chi manda i figli per un anno a studiare all’estero (lo dico per esperienza personale) deve poter detrarre dalle tasse quello che spende, perché il suo investimento costa sacrifici enormi ed è un valore aggiunto per il paese”.
Se i luoghi comuni si sprecano, con le solite accuse contro i prof e il mezzogiorno e l’occhiolino verso l’Usa, qualche buon suggerimento da Panorama rimane, ma anche quello è altrettanto noto.
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