I lettori ci scrivono

Come vulcani: potestas in populo

Cile, Libano, Hong Kong e pian piano altri Paesi e Città del Globo come vulcani cominciano ad eruttare sino ad eruzione violenta e non certo spettacolare, che ha le sue regole e modalità in tema di lotta di piazza.

In Libano per un semplice aumento delle e sulle tariffe telefoniche, in Cile per la disuguaglianza sociale, in Siria i Curdi restano abbandonati nella loro lotta al riconoscimento e alla democrazia, e se gettiamo uno sguardo più ampio comunque è tutto un ribollire talvolta silente talvolta troppo molto rumoroso: la Storia si ripete. Sempre. E sempre viene scritta dal POPOLO.

E noi? Mi rivolgo in particolare al mondo della Pubblica Amministrazione, a cui e di cui la Scuola riveste un ruolo fondamentale e fondante. Mi rivolgo a quel “POPOLO” di cui e su cui si sta facendo tanto rumore e forse per nulla, visto che il decreto “salva precari” è fermo sul tavolo del Primo Cittadino di questa Italia, e giustamente visto che molti restano fuori i giochi concosiali, e che a colorare il tutto la notizia, non nuova, i nemmeno 80 euro (lordi) come aumento salariale. Benchè non lontano è l’aumento di 600 euro lo stipendio dei nostri DS così pieni di sé e vestiti di delirio di onnipotenza.

Loro hanno lottato, meglio hanno soltanto alzato un po’ la voce. E noi? Sempre divisi, sempre dentro il recinto dell’arena dove si sgrana quotidiana la lotta fra poveri, i cui spettatori sono sempre i Fioramonti, i Di Maio, e le tante Sigle che hanno come motivo e senso di esistenza il rappresentare i diritti di questo “Popolo” strano.

Se per una volta ci uniamo e serriamo i ranghi e a mani conserte dichiariamo fermi i lavori della amministrazione pubblica, la nostra in particolare? Immaginate le aule vuote e soprattutto la crisi esistenziale delle famiglie che, impegnate ad andare a lavoro, andrebbero in crisi circa la gestione della loro prole, spesso consegnata proprio alla Scuola investendola del ruolo di sostituta genitoriale con tutto quello che essere genitore significa.

Tranne il brutto voto da segnare sul registro, perché qui poi invece si ridelinea il limite riacquistando o riprendendo il ruolo di genitori consegnando alla scuola la sua reale funzione sociale, ma che non rispetta o rispecchia le aspettative delle famiglie che i loro figli vedono come dei geni o degli scienziati!.

Ci riempiono di riunioni inutili che necessitano per appannare gli occhi del resto del Popolo sempre ancora convinto che il miglior mestiere (non professione) sia quello del docente con le sue 18 ore di lavoro, su una giornata fatta di 24 ore, con il resto del tempo libero a fare altro che docere. Convinzione da sempre errata. Ma vai a cambiare il pensiero culturale.

Facile e comoda questa visione che esclude, meglio vuole dimenticare quanto e quello che significano quelle 18 ore in classe…. (e che appunto sono diventate 24 ore). Ma qui si rischia di aprire un dibattito che non trova in queste righe lo spazio dovuto e il luogo proprio.

Se provassimo ad avere il coraggio di fermarci anche se questo comporterebbe una detrazione di stipendio mensile, per i giorni o il tempo di fermo della attività funzionale della Scuola, e del resto della Pubblica Amministrazione, sono convinto (non soltanto io), che i Politici, seduti sullo scrigno più alto dell’arena dove appunto si svolge la lotta tra poveri (penso ai gladiatori nel tempo della Roma Imperiale…), accorrerebbero subito a trovare soluzione e magari lavorare seriamente al riacquisto della dignità della Scuola 8non soltanto certo riscatto economico), ma riconsegnando oltremodo alla Cultura il ruolo di linfa per il terreno sociale, e consentendo così che davvero la nostra sia un’ Italia libera e democratica, e non ancora totalitaria vestita di democrazia: basta tornare alla storia della Collega di Palermo ancora sospesa nel suo servizio di insegnante per aver associato le leggi fasciste a quelle di Salvini, cioè colpevole di aver dato spazio al libero pensiero e al libero pensare che è poi espressione della Democrazia, oppure basta leggere con onestà e coraggio le norme in merito a chi si ammala e dunque si assenta dal luogo di lavoro (scuola), con le tre ore di uscita d’aria, all’interno delle 8 ore in cui si obbliga come in un carcere a stare in casa, nella differenza normativa con la malattia di chi lavora nel privato…

E’ possibile che gridiamo ai diritti, mentre restiamo silenti e piegati nei nostri doveri, sempre a brontolare ma mai a tentare di cambiare le cose: forse perché dopotutto ci va bene lo stesso: un po’ per paura, un po’ perché lecchini del “potere”, un po’ perché tanto c’è chi ci pensa a noi e alle nostre esigenze spesso vizi e capricci. Forse!? Tanto la vita continua, la Storia si racconta, e come sempre c’è chi fa per noi.

Mario Santoro

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