Ad un mese esatto dal referendum di Bologna dove hanno vinto i sostenitori di chi ritiene illegittimo utilizzare i finanziamenti pubblici per sostenere le scuole dell’infanzia private, ecco arrivare la proposta del Comitato Articolo 33 promotore del referendum bolognese, che chiede e vuole un referendum analogo su scala nazionale.
La difesa della scuola pubblica e di un sistema scolastico unico e nazionale, non è una questione che riguarda solamente i cittadini bolognesi, ma invece riguarda tutta l’Italia intera, dalla Lombardia alla Calabria, isole comprese.
Come sottolinea il costituzionalista Alessandro Pace, la Repubblica è obbligata a finanziare la scuola pubblica, quella di tutti, per garantire il diritto allo studio e rispettare i principi e gli obiettivi della Costituzione, ed è inaccettabile, maggiormente in tempi di crisi, dove si tagliano risorse economiche alla scuola pubblica, finanziare quella privata.
Questi sono i motivi per cui il comitato “Articolo 33” è intenzionato a non mollare ed a rilanciare con decisione un nuovo referendum su base nazionale.
Oggi quindi, a trenta giorni dalla vittoria del referendum di Bologna, i promotori di quella iniziativa, scendono in piazza per non dimenticare e non fare dimenticare il significato di quella vittoria, ma anche per auspicare, in un momento così difficile per la scuola, fatto di tagli continui, carenze di personale, strutture logistiche fatiscenti e spesso insicure, incertezza del quadro normativo-contrattuale, troppo spesso mutato da leggi del tutto sfavorevoli al personale scolastico, che il modello Bologna, dove è stato fatto il referendum, sia esportato in ogni singolo comune italiano.
In buona sostanza si chiede l’abolizione totale dei fondi alle scuole private.
Secondo il comitato “Articolo 33”, le scuole private hanno il diritto di esistere, ma devono provvedere da sole al loro mantenimento, senza che si disperdano risorse pubbliche per la loro sopravvivenza. E’ molto probabile però che la richiesta del comitato Articolo 33, di per sè legittima, dovrà scontrarsi con forme di ostruzionismo politico trasversale, così come è emerso per lo stesso referendum di Bologna.
Intanto, i referendari si aspettano dal Comune di Bologna un primo passo verso le loro richieste comprendendo che un sistema in vigore da vent’anni non potrà essere smantellato dall’oggi al domani con il tocco di una bacchetta magica, ma pretendendo un graduale cambio di rotta, che incominci da Bologna e si estenda in tutt’Italia.
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