La maggior parte dei docenti classifica gli alunni della classe, almeno nella sua mente, in categorie: quelli più bravi, i sufficienti o poco più e infine quelli che arrancano e non studiano e che si qualificano come “somari”. Qualche insegnante adotta un sistema di insegnamento diversificato, seconda del grado di apprendimento del singolo alunno. Fin qui nulla di anomalo. Anzi, la personalizzazione dell’offerta formativa va considerata un obiettivo da raggiungere della didattica moderna. Se, però, i ragazzi meno studiosi vengono messi da parte e discriminati, allora non ci siamo. Significa che il messaggio educativo si realizza solo con gli allievi più bravi: si tratta di una strada facile e nello stesso tempo decisamente opportunista. Perché, l’abbiamo detto più volte, è con gli alunni difficili che si misura la vera abilità del docente.
Di recente, a discriminare gli alunni difficili è stato un maestro di un istituto comprensivo del torinese, che nel tentativo di non penalizzare gli allievi più bravi, metteva da parte i meno attenti e chi andava male: questi ultimi venivano messi in “un angolo con il rischio di venire ignorati, trattati come elementi di disturbo nel lavoro di classe”, ha scritto La Repubblica.
La differenziazione era così evidente che i bambini esclusi delle lezioni si sentivano oggettivamente mortificati e messi da parte.
A quel punto, alcuni genitori hanno chiesto spiegazioni. Cinque di loro, evidentemente non soddisfatti, hanno deciso di chiedere il “nulla osta” e cambiare l’istituto scolastico dei figli. Altri hanno nel frattempo denunciato il caso ai carabinieri, che hanno verificato la fondatezza delle accuse.
Parallelamente, l’Ufficio scolastico regionale ha avviato i suoi approfondimenti. E in attesa di giungere alle conclusioni del caso, il docente è stato destinato a un incarico lontano dalla classe.
Alcuni anni fa avevamo avuto modo di scrivere, commentando un articolo del nostro Nicola Bruni, che il vecchio banco di legno a due posti utilizzato tra il 1947 e il 1952, quale era appunto il “banco degli asini”, oggi, a distanza di sette decenni, viene considerato punitivo e retrogrado.
Tanto è vero che il docente che lo adotta, dando anche del “somaro” all’allievo più indietro, rischia la reclusione per abuso di mezzi di correzione.
Come è accaduto nel 2017 in una scuola secondaria di primo grado in provincia di Oristano che, secondo l’accusa, divideva la classe in alunni bravi e alunni somari – definendoli anche tali – e aveva pure costretto una studentessa a stare in classe con il banco rivolto verso la parete, invece che verso la cattedra come quello di tutti i suoi compagni di classe.
Come riportato dalla Tecnica della Scuola, le indagini presero il via dopo che la madre della bambina costretta a stare faccia al muro, venuta a conoscenza del trattamento riservato alla figlia, si è presentò in classe – con la lezione in corso – chiedendo spiegazioni all’insegnante.
La donna si pose in maniera molto decisa, a quanto pare, tanto che qualcuno ritenne necessario chiedere l’intervento dei Carabinieri. I quali denunciarono la donna per interruzione di pubblico servizio.
Tuttavia, i militari approfondirono anche le circostanze che aveva indotto la donna a quel comportamento oltre le righe.
Così, dopo aver riportato la calma, avviarono un’indagine e, raccolte le testimonianze, denunciarono anche l’insegnante per abuso di mezzi di correzione.
Nel frattempo, in attesa dell’esito delle indagini, anche quella docente fu trasferita in un altro istituto.
Non molti mesi dopo è giunta la richiesta di condanna a un mese di reclusione da parte del pubblico ministero.
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