I giovanissimi sono vittime di «algoritmi programmati apposta per adescarli e tenerli connessi il più a lungo possibile». Sono lapidariamente nette le parole scelte dalla VII Commissione Permanente del Senato (Istruzione pubblica e beni culturali) nel Documento approvato a conclusione dell’indagine conoscitiva “Sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento”. Comunicato alla Presidenza il 14 giugno scorso, il Documento è passato quasi inosservato tra i media mainstream: forse anche per non dispiacere all’attuale compagine governativa (che tanto insiste nel presentare le tecnologie informatiche come panacea di tutti i mali della Scuola italiana)?
Il Documento della VII Commissione (23 membri di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, tra i quali Liliana Segre) non dice nulla in più di quanto chiunque può constatare, nulla in più di quanto i più attendibili (e onesti) specialisti in materia di psichiatria, neurologia, pedagogia, psicologia ripetono da anni e anni: affidare totalmente la crescita di bambini e adolescenti alle tecnologie informatiche nuoce gravemente al loro sviluppo psicofisico, relazionale, cognitivo, intellettivo.
I più giovani sono perennemente connessi al web, perché «l’uso del digitale che ne fanno, prevalentemente social e videogiochi, favorisce il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore della sensazione di piacere». E c’è un nesso tra questo uso massiccio del digitale e «istigazione al suicidio, adescamento, sexting, bullismo, revenge porn: tutti reati in costante crescita», anche perché nelle “nuove piazze virtuali” «vige l’anonimato, i controlli sono scarsi, i minori vi si avventurano senza alcuna sorveglianza da parte dei genitori».
Per questo la Commissione sollecita «Parlamento e Governo ad individuare i possibili correttivi»: per esempio «favorire la riconoscibilità di chi frequenta il web;vietare l’accesso degli smartphone nelle classi; educare gli studenti ai rischi connessi all’abuso di dispositivi digitali e alla navigazione sul web; interpretare con equilibrio e spirito critico la tendenza epocale a sopravvalutare i benefici del digitale applicato all’insegnamento; incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l’esercizio della memoria». Insomma, «governare e regolamentare quel mondo virtuale nel quale, secondo le ultime stime, i più giovani trascorrono dalle quattro alle sei ore al giorno». E — soprattutto — impedire la realizzazione di quella che Aldous Huxley definì “dittatura perfetta”: «Un sistema di schiavitù nel quale, grazie al consumismo e al divertimento, gli schiavi amano la loro schiavitù».
La dipendenza da videogiochi e smartphone viene esplicitamente paragonata a quella da cocaina: «Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche», con tendenza al peggioramento progressivo, che compromette le capacità logiche dei giovanissimi e la propensione all’apprendimento. Quanto accade già oggi in Cina e Giappone mostra gli effetti prossimi venturi sulla nostra società.
In Cina fioriscono da 15 anni centri di “riabilitazione” per i dipendenti compulsivi da smartphone, organizzati con «logica cinese: inquadramento militare, tute spersonalizzanti, lavori forzati, elettroshock, uso generoso di psicofarmaci. Un campo di concentramento. Da allora, di luoghi del genere ne sono sorti oltre 400». In Giappone sono almeno un milione gli hikikomori, di cui la nostra testata ha già dato conto (e che in Italia sarebbero già 100.000): vegetali umani tra i 12 e i 25 anni, chiusi in camera a venerare il proprio device. «Un milione di zombi» è l’epigrafica definizione della Commissione.
È quindi assai pernicioso spingere i bimbi all’uso ipertrofico degli schermi telematici anche per studiare: infatti, «sollecitare prevalentemente la vista, sottoutilizzando gli altri quattro sensi, impedisce lo sviluppo armonico e completo della conoscenza». Che cosa ne direbbe Maria Montessori, convinta com’era che la mano fosse lo strumento principe della conoscenza persino nella persona adulta? «Il digitale», aggiungono, difatti, i Senatori, «sta decerebrando le nuove generazioni, (…) classe dirigente di domani», che all’uso-abuso del digitale legano «la loro autostima e la loro identità»: «per loro, privarsene è doloroso e assurdo quanto subire l’amputazione di un arto».
Parole coraggiose, in totale controtendenza rispetto alla moda dominante, all’ideologia unica che fa del digitale il toccasana che magicamente dovrebbe risolvere tutti i problemi della Scuola: forse anche perché questa ideologia permette al Governo di turno di non parlare degli edifici fatiscenti, delle classi di 35 alunni, degli stipendi da fame dei docenti, della precarizzazione e impiegatizzazione dei medesimi, della gerarchizzazione e aziendalizzazione della Scuola perseguita da tutti i Governi degli ultimi 30 anni con trasversale, concorde e pervicace coerenza?
Ma per quale motivo l’italico sistema massmediatico non ha dato risalto al Documento dei Senatori? Quanti sono oramai i giornalisti che preferiscono non citare le voci discordanti dalla linea gradita multinazionali e Governi?
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