Un bel pasticcio, perché ad alcuni mesi dall’inizio delle lezioni, non è corretto non sapere ancora come saranno le prove finali, sapendo che quest’anno va a regime la riforma del 2010 sui nuovi indirizzi della scuola superiore.
Così, a parte il presidente, i nostri ragazzi saranno valutati dai soli docenti interni, gli stessi che poche settimane prima li avevano giudicati per essere ammessi alla maturità.
Due valutazioni da parte degli stessi docenti in poche settimane, senza alcun confronto o comparazione con altri docenti di altre scuole.
Un non-senso già sperimentato dieci anni fa, e subito cancellato.
Difficile immaginare come una “buona scuola”, per riprendere lo slogan di Renzi, possa sopportare ancora tutto questo.
È evidente che si tratta di questioni di pura finanza pubblica, mentre manca totalmente ogni riflessione sul merito, sulla sostanza della vita della scuola, sul cuore di un domanda di futuro che dovrebbe accompagnare i nostri giovani, sui nuovi saperi e competenze oggi richiesti.
Solo un esempio, per capirci: visto che questo schema era già stato proposto ai tempi del ministro Moratti, cancellato a furor di popolo per evidenti motivi (l’autoreferenza), perché non prendersi il coraggio a due mani e cancellare gli esami di maturità e sostituirli con certificazioni?
Se invece vogliamo tenerli, questi esami, perché non fare una proposta che rivoluzionerebbe, in positivo, la vita delle scuole, valorizzerebbe cioè la professionalità dei docenti attraverso Dipartimenti disciplinari finalmente cuore della vita della programmazione didattica? L’idea è semplice: i docenti commissari degli esami di maturità sarebbero sì interni, ma interni alla scuola, non alla classe. Un sano scambio di classe tra docenti della stessa disciplina. Porterebbe alla fine dell’individualismo didattico.
Questi esami, per fare sintesi, o sono costruiti con serietà, diventando vero “rito di passaggio”, oppure meglio toglierli definitivamente. Che senso ha una prova finale che prevede il 98 per cento di promossi? Un bluff.
Oggi, lo sappiamo, non contano le prove in uscita, nei percorsi formativi, ma quelle in entrata ed in itinere, con la sola certificazione finale (ai fini della equipollenza dei titoli di studio). Pensiamo, ad esempio, al 40 per cento circa di percorsi universitari che oggi prevedono, appunto, le prove d’ingresso, cioè i test. Un vero aiuto, perché orientanti, con numero di ammessi gestibili poi dalle varie università.
Resta, per chiudere, l’altra questione: la maturità a 18 anni, per la pari dignità dei nostri ragazzi con i coetanei di mezzo mondo.
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