Viviamo sempre più in un mondo complesso in continuo cambiamento, che richiede particolari competenze per essere in grado di “orientarsi” e saperlo viverlo come un’opportunità e non un problema.
Per questo è importante che si lavori sui giovani per lavorare fin da subito alla crescita di quella che viene definita “global competence”, cioè lo sviluppare tutti i lati della personalità compreso quelli socio-emozionali che conferiscono sicurezza e capacità di adattarsi velocemente ai contesti fluidi.
Il mondo del lavoro dopo la pandemia è enormemente cambiato, ha creatoun nuovo contesto che ha introdotto l’utilizzo del lavoro ibrido (smartworking e in presenza ma con ambienti rinnovati) e un approccio nuovo del lavoro che sta portando soprattutto i 40-50 enni alle dimissioni di massa perché non vedono più nel lavoro la realizzazione della propria esistenza.
Il lockdown ha fatto riscoprire in sostanza vecchi valori che il caos dei ritmi pre-pandemia ci aveva fatto dimenticare.
Per “character skill “(letteralmente competenze del personaggio) si intendono le competenze. le disposizioni mentali che coinvolgono direttamente la personalità del lavoratore, non toccando solo la sfera del cognitivo, bensì interessando il suo carattere e il modo in cui si approccia al lavoro e aiutano a svolgere una determinata mansione.
Si basa dal presupposto che ormai per avere successo nella vita professionale è necessaria un’ampia varietà di abilità: non c’è più posto, infatti, per una valutazione dei dipendenti che prescinda dal loro carattere, dalla loro personalità, e da tutto quanto concerna la loro sfera emotiva e come questa si rapporta al loro lavoro.
Le character skill, come riporta il portale “Morning Future” in un recente e interessante articolo, vengono studiate attraverso test di autovalutazione e osservazionali usati normalmente in psicologia, con l’obiettivo di renderle degli indicatori misurabili, proprio come tanti altri nel mondo del lavoro di oggi. Il presupposto di questi studi è che gli aspetti cognitivi e non cognitivi non siano scollegati, bensì costituenti del profilo indivisibile e unico di ogni singola persona. (fonte Almalaboris)
Il tema delle character skills è stato recentemente oggetto di dibattito all’interno di un convegno all’interno dell’Università degli Studi di Urbino, dove il Rettore ha ribadito “quanto sia fondamentale che gli studenti di oggi e professionisti di domani non abbiano solo il sapere tecnico ma siano in grado di interagire con gli altri e l’ambiente circostante.”
Il Mondo della scuola si trova davanti ad una sfida fondamentale, “diventare protagonista del cambiamento pedagogico ed educativo”. Solo il connubio tra non cognitive e cognitive skills, può permettere ai ragazzi di affrontare le enormi sfide che il mondo ci sta mettendo davanti. Una sfida che consenta ai ragazzi di migliorare la capacità di adattarsi ai continui cambiamenti sociali e tecnologici.
La sperimentazione di queste nuove competenze dovrà avvenire nella scuola italiana fin dalla fase dell’infanzia. Inoltre, queste nuove abilità hanno un impatto positivo sulla prevenzione dei comportamenti devianti: educare all’emotività e alla relazione in un tempo in cui la violenza è diventata parte del nostro vissuto quotidiano.
Il primo a capire l’importanza delle NCS è stato il Premio Nobel per l’economia James Heckman alla fine degli anni 90 I suoi studi hanno di fatto mostrato come esse condizionano l’apprendimento e le abilità lavorative: possono cambiare in maniera significativa nel corso del tempo e dei luoghi. Ha verificato, inoltre, su gruppi di studenti aventi la stessa capacità conoscitiva, come gli abbandoni dipendano soprattutto dagli aspetti non cognitivi della personalità.
Per lo studioso americano le NCS (No cognitive skills) diventano tratti della personalità innati e formati dall’interazione con l’ambiente che condiziona l’apprendimento e le abilità lavorative entrando di fatto a far parte del character delle persone. I suoi studi hanno dimostrato che uno sviluppo di esse aumenta la produttività nel lavoro: soprattutto in un mondo in cui la conoscenza diventa obsoleta velocemente, danno all’individuo quella capacità di “imparare ad imparare” che è determinante per non trovarsi esclusi.
Nonostante tutte le evidenze empiriche e gli apporti metodologici che dimostrano l’importanza di queste nuove competenze senza luoghi scolastici trasformati per sviluppare la personalità degli studenti, la scuola italiana e i nostri giovani non riusciranno a fare quel salto di qualità che oggi è necessario e che richiede il mondo del lavoro.
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