Il Covid torna a bussare prepotentemente alla porta, forte della variante Omicron e nel mondo scolastico torna in auge la vecchia querelle, DAD sì DAD no.
Preoccupati dai numeri di positivi in crescita i presidi hanno spinto per riprendere la scuola in DAD dopo la pausa di Natale, il Governatore della Campania ha lasciato chiuse le porte delle scuole fino al 29 gennaio, in Sicilia le scuole sono riprese più tardi. Una situazione eterogenea che non aiuta di certo.
Il covid fa più paura della DAD.
Ma spesso non si fanno i conti con gli aspetti apparentemente meno evidenti della DAD, quelli dell’isolamento sociale dei ragazzi.
Non entriamo volutamente nel merito se la scuola oggi è più sicura rispetto ad un anno fa, di sicuro non si è fatto molto per aiutare i ragazzi nella loro mancata socializzazione causata da questa lunga pandemia.
Dobbiamo imparare a considerare il bambino, il ragazzo, lo studente nella complessità del suo essere, nella ricchezza di saperi e competenze da un lato, senza dimenticare l’intelligenza emotiva che lo individua e lo caratterizza dall’altro.
Secondo i risultati del dossier Invalsi presentati a luglio, la DAD pare abbia creato maggior dispersione scolastica, perdita e difficoltà di apprendimento, inasprito le già presenti disuguaglianze sociali.
Non solo: gli effetti dell’isolamento dovuto al lockdown e alla DAD forzata ha provocato effetti a livello psico emotivo, come ansia, disturbi del sonno, scarsa concentrazione, perdita motivazionale, nei bambini tra 5 e i 13 anni.
Altri problemi rilevati in maniera specifica sugli adolescenti sono problemi di alimentazione, casi di depressione, di apatia, di paura.
A confermare questi risultati sono i dati della ricerca condotta da Cnop (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi) per conto del MIUR.
Quella che maggiormente manca ai ragazzi delle scuole superiori è l’interazione con compagni e docenti, il fatto di poter lavorare insieme in logica di gruppo che aiuta a sviluppare le capacità di empatia., di migliorare le capacità relazione e di problem solving. Tutte capacità che rientrano in quelle che vengono definite soft skil, molto importanti e richieste nel mondo del lavoro.
Altro aspetto importante è quello degli alunni con difficoltà di apprendimento che hanno più di altri bisogno, di una didattica in presenza, della relazione con i docenti di sostegno e con i propri compagni.
Un dato allarmante inoltre è la dispersione scolastica. Sono 543mila gli studenti che nel 2020 hanno abbandonato la scuola dopo la licenza media, un dato drammatico, che ci posiziona in fondo alla classifica dei Paesi europei, un tasso di abbandono risalito al 14,5 per cento, con un divario territoriale che penalizza le zone interne, le molte periferie, tutte le aree che conoscono esclusione sociale e culturale e, soprattutto, il Mezzogiorno.
Il ministro Bianchi ha invitato tutti alla responsabilità. Il responsabile del Ministero ricorda a più riprese che con i 400 milioni stanziati nella legge di bilancio per la proroga dell’organico Covid si potrà affrontare anche questa fase delicata. Va capito però se si stanno spendendo e per cosa questi soldi.
La didattica deve riguardare non più soltanto l’insegnamento di contenuti, ma deve avere come “focus” la persona. Serve una didattica che rimette realmente gli studenti al centro dell’attenzione.
Ogni persona che apprende deve poter sviluppare al meglio i propri talenti, le proprie attitudini e le proprie aspirazioni.
Se riteniamo che la DAD non sia un male oscuro da cui scappare, siamo altrettanto certi che i ragazzi hanno bisogno di vivere compagni e amici in presenza, giorno per giorno, va trovata quindi una giusta mediazione tenendo conto anche degli aspetti psicologici.
Per fortuna la legge sulla “Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi delle istituzioni scolastiche”, approvata l’11 gennaio 2022 dalla Camera dei deputati va proprio in questa direzione.
Questa legge può rappresentare la prima occasione per favorire una nuova formazione dei docenti che preveda, anche e soprattutto, la giusta attenzione per lo sviluppo delle competenze non cognitive nelle attività educative e didattiche
Parlare di competenze non cognitive vuol dire infatti, rafforzare la scuola delle relazioni oltre quella delle nozioni. È esperienza di chiunque insegni, ma anche di numerose ricerche scientifiche che l’apprendimento migliora se si stimolano gli interessi, la curiosità, le emozioni di ciascun alunno e questo si traduce in migliori risultati scolastici che favoriscono tutti ma, soprattutto, sostengono chi è meritevole ma sprovvisto di mezzi.
Mancano all’appello, inoltre, le gite scolastiche, quelle che fanno “gruppo” che fanno diventare amici, che ti lasciano dentro i ricordi della scuola buona, che poi racconti ai tuoi amici e ai tuoi figli quando sei diventato adulto.
Nessuno ridarà indietro a questi ragazzi queste esperienze.
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