Didattica

I compiti a casa? Inutili, dannosi, discriminanti e malsani: spazio all’homework-free

Se in Italia è in forte crescita il fronte di genitori e insegnanti contrari ai compiti a casa, nel resto d’Europa ci sono sul tema pareri contrastanti sui vantaggi o meno di questo nuovo approccio

In Francia ad esempio Macron li ha vietati anche alle medie dopo che per i più piccoli sono vietati da oltre sessanta anni, in Inghilterra invece i genitori della Philip Morant School and College di Colchester si sono scagliati contro la preside per la sua decisione di dichiarare la scuola “homework-free”.

Per i fautori dell’importanza dei compiti a casa, non studiare a casa, infatti, non solo non darebbe più autonomia ma non li aiuterebbe neanche nella preparazione agli esami né ad abituarli allo studio delle scuole superiori.

La febbre dell’Homework free

In Italia, come dicevamo sale sempre più la febbre dell’Homework free da parte di tutti gli stakeholders della scuola.

Dalla petizione, come riportava il Corriere della Sera sulla piattaforma Change.org, animata dal dirigente scolastico di Genova Maurizio Parodi che l’ha lanciata tre anni fa con lo slogan: «Basta compiti» perché sono inutili, dannosi, discriminanti e malsani. Petizione che è arrivata già a 30 mila adesioni, cui fanno eco iniziative personali di diversa natura di maestre e professori sostenuti da scrittori, esperti di pedagogia e psicologi.

La stessa Ministra Fedeli ha più volte ribadito la necessità di cadenzare i campiti nell’ambito del progetto Alternanza scuola lavoro (articolo pubblicato recentemente da TdS), ribadendo la necessità di “un atteggiamento migliorativo rispetto a quello tradizionale: ti faccio la lezione frontale, poi tu approfondisci a casa da solo”.

Ma il fermento di vietare i compiti in base alla Carta internazionale dei diritti dell’infanzia che parla di diritto al riposo si scontra con la libertà d’insegnamento, principio fin qui invocato dai precedenti ministri per evitare di prendere provvedimenti definitivi. L’ex ministra Stefania Giannini a suo tempo fu addirittura categorica in merito: “Non si possono cancellare i compiti per legge”.

Va nella direzione dei “no ai compiti a casa” la sperimentazione avviata dal pedagogista Raffaele Ciambrone partita l’anno scorso nella provincia di Biella arrivata quest’anno a toccare già 166 scuole elementari e medie di altre 4 province, Verbania, Milano, Torino e Trapani.

L’idea di fondo che sta dietro questo progetto è che non basta eliminare i compiti a casa se la didattica rimane quella che è oggi.

“I nostri figli sono sovraccaricati”

Come ha spiegato Cinzia Sabatino referente del progetto presso l’ufficio scolastico di Biella al Corriere “Siamo partiti da una constatazione: i nostri figli sono sovraccaricati. Fanno lezione per 6,7 ore al giorno e poi devono pure fare i compiti. Perché non usare una parte delle ore in classe invece per solidificare le cose imparate al mattino?».

Il progetto interviene inoltre anche sullo spezzatino delle materie che a dir loro toglie concentrazione agli studenti. La didattica prevede infatti una settimana intera di italiano e la successiva di matematica. Alle medie le materie sono accorpate per macro aree (esempio quella linguistica, quella matematica e quella espressiva) cosi da consentire ad ogni insegnante di svolgere un argomento alla volta.

Le lezioni sono concentrate al mattino per la primaria e nelle prime tre ore alle medie. Poi parte il lavoro in gruppo con le esercitazioni.

Funzionerà?

Funzionerà questo nuovo approccio alla didattica? Per la Sabatino “I primi segnali sono molto incoraggianti”.

I risultati sono monitorati dall’Università Cattolica che al termine del triennio pubblicherà i risultati per successive valutazioni o modifiche del progetto.

Difficile dire chi ha ragione. E forse solo tra qualche anno quando i risultati di queste sperimentazioni saranno resi pubblici si saprà qualcosa in più.

Sicuramente da non trascurare sono i dati dell’Ocse, che parla di ragazzini finlandesi e coreani che sono al top per competenze e conoscenze ma studiano un terzo dei loro coetanei italiani che vanno invece molto peggio a scuola. Secondo gli esperti dell’organizzazione internazionale i compiti sarebbero un esercizio ridondante soprattutto alle elementari. E altro fattore da tenere in considerazione, i compiti sarebbero portatori di ineguaglianze perché chi ha genitori che hanno studiato ha sicuramente più possibilità di essere aiutato.

Però anche i genitori devono contribuire a trovare insieme al corpo docente la migliore soluzione possibile e non chiamarsi fuori in maniera autonoma giustificando i figli al ritorno dalle vacanze o perché il bambino non aveva semplicemente voglia di applicarsi nel weekend.

Dino Galuppi

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