I compiti delle vacanze sono inutili, ridicoli e dannosi e sarebbero da abolire. Sì, perché i compiti delle vacanze sono il retaggio di una scuola premoderna, che scambia la formazione con la punizione e il sapere con la noia.
Un editoriale de Linkiseta.it si scaglia contro i compiti per le vacanze: anche soltanto il pensare di poter riempire i tre mesi estivi di ragazzi e ragazze nell’età della crescita, della scoperta e dell’esperienza con ignobili e inutili esercizi è ridicolo e dannoso.
È un vero e proprio atto di aggressione alla libertà di crescere dei ragazzi. È il risultato di una scuola bigotta, che crede più alla forma che alla sostanza, che vede il tempo extrascolastico come un tempo morto, inerte e inutile; un tempo concorrente, e non complementare, al tempo scolastico che, al contrario dovrebbe essere quello vivo, proficuo e utile.
Ma una scuola che non capisce che questa dicotomia è un affronto all’intelligenza e che, non capendo l’importanza dell’esperienza extrascolastica, la minaccia con i compiti delle vacanze, è una scuola autoritaria e pericolosa. E lo scopo di una scuola del genere non può essere costruire donne e uomini con una testa per affrontare la vita, ma abituare bambini e ragazzi a quello che li aspetta: un futuro alienante di adulti alienati.
Il termine vacanza ha radici antiche, latine, scrive sempre Linkiesta.it.
Deriva da vacantia, quindi da vacans, participio presente del verbo vacare. E il vacare esiste nello spazio vuoto, vacuo, sgombro, libero. E libero da cosa, se non da occupazioni, preoccupazioni e dannati compiti delle vacanze?
Per questo i compiti delle vacanze sono una contraddizione in termini, perché quando c’è un compito, non c’è vacanza. Perché vacanza è una parola bella e nobile, e lo dovrebbe essere per tutti, sia per gli studenti, sia per i lavoratori. Dovrebbe essere un diritto inalienabile e sacro proprio in quanto tempo dell’assenza, del vuoto, dell’ozio quello vero.
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E invece la concezione di scuola che la politica bacchettona e terrorista dei compiti delle vacanze lascia trasparire è una concezione rigida, pericolosa, antilibertaria e quindi, in fondo, autoritaria. Una concezione drammatica e triste, incapace di capire che le regole sono soltanto una griglia interpretativa attraverso le quali guardare il mondo e non una griglia di verità a cui la realtà si deve inginocchiare davanti. D’altronde la realtà, come l’estate, è fatta di eccezioni, non di regole, come la scuola.
E una scuola del genere, se legge su Linkiesta.it, è figlia di anni totale incomprensione di cosa sia l’atto di imparare. Non si impara nulla se minacciati. Non si impara nulla se annoiati. Non si impara nulla se si è costretti a perdere tempo in esercizi meccanici e inutili. Non si impara nulla se non si parte dal presupposto che imparare è accumulare esperienza, e che l’esperienza non è soltanto l’esperienza scolastica.
Le vacanze, in realtà, sono il tempo più formativo dell’anno. E lo sono proprio perché non c’è la scuola. Sono il tempo dell’autonomia, della libertà, il tempo in cui si affrontano le paure e le si supera, il tempo delle esperienze che ci fanno diventare adulti. Durante le vacanze, scrive il giornale online, si accendono i fuochi, si dorme in spiaggia, si baciano le ragazze e ci si tuffa dagli scogli più alti. L’estate è il tempo dove 1+1 non fa 2, ma, molto più semplicemente, 1+1.
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