Compiti in dialetto: i genitori degli stranieri esclusi s’indignano, ma rimangono soli

Non sembra aver riscosso molti consensi l’iniziativa di alcuni genitori della scuola primaria “Anna Frank” di Noventa Padovana a seguito della decisione dell’insegnante dei loro figli, iscritti in terza, di assegnare durante il periodo delle festività natalizie la traduzione di una poesia dal dialetto veneto all’italiano: quella che per le famiglie degli studenti esclusi, perché stranieri (in prevalenza dell’est, nordafricani e cinesi), è sembrata una scelta discriminatoria, secondo i responsabili della scuola ed anche i sindacati è apparsa invece una decisione plausibile. E priva di alcun tipo di finalità, oltre quella canonica della salvaguardia delle tradizioni del posto sempre più sottoposte all’attacco da parte di messaggi incontrollati senza valori e riferimenti certi.
Il primo ad intervenire a favore del docente della scuola primaria è stato il suo dirigente, Gaetano Calore, secondo cui “il recupero delle tradizioni orali regionali si è sempre fatto e chi pensa il contrario, e immagina che tutto questo sia frutto delle recenti riforme della scuola, è in malafede. La nostra scuola – ha sottolineato il responsabile dell’istituto situato nella provincia padovana – è ad altissima qualità di integrazione e si distingue per facilità di contatti e di comunicazione con le famiglie. Abbiamo un progetto per bambini sordi, per altri disabili, per altri stranieri per i quali seguiamo la via dell’integrazione. Non si capisce quale sia l’intento di questa sorta di rimostranza assolutamente al di fuori della nostra visione di scuola“.
I contenuti della poesia, assegnata prima di Natale, avevano preso spunto dal progetto Giochi ai tempi dei nonni“, nell’ambito del quale era stata realizzata anche una visita della classe ad una casa di riposo: nell’occasione gli anziani, ospiti della struttura, avevano letto i testi di alcune loro poesie. Per le famiglie dei bambini che si sono rivolte al dirigente dell’istituto il maestro nell’assegnare il compito non avrebbe però tenuto conto della presenza di diversi bambini non italiani.
Non la pensa così però nemmeno il direttore dell’Usr veneto, Carmela Palumbo, secondo cui  i genitori in rivolta “non si rendono conto che il recupero delle tradizioni orali regionali si è sempre fatto. Chi pensa il contrario e immagina che tutto questo sia frutto delle recenti riforme della scuola – ha concluso Palumbo – è in malafede”.
In difesa dell’operato del docente dalla scuola primaria si è schierato pure Gianni Carlini, responsabile dirigenti scolastici della Flc-Cgil, per il quale dietro alla vicenda “non mi sembra che via sia alcun carattere escludente: c’è da preoccuparsi – ha aggiunto Carlini – quando le scelte dei docenti vengono sostenute da motivazioni che non hanno nulla a che vedere con i programmi didattici o sono dettate da ragioni ideologiche”. Secondo il responsabile dei presidi dei lavoratori della conoscenza della Cgil entrare nel merito della decisione dell’insegnante della scuola primaria creerebbe un precedente pericoloso: “fa parte dell’autonomia del docente – conclude Carlini – calarsi nel clima della classe ed assegnare anche un compito di questo genere“.
Come fa parte delle regole, quelle della polemica facile, ingigantire situazioni che potrebbero essere gestite molto meglio all’ombra di tanti clamori. Ma parlare evidentemente di stranieri vessati, soprattutto all’indomani dell’introduzione del tetto del 30% per classe, è un’occasione troppo ghiotta per non essere presa in considerazione.
Alessandro Giuliani

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